Spesso nasce spontaneo un interrogativo: l’Unione europea esiste?

lunedì 19 febbraio 2024


Ritengo che la libera circolazione delle persone e delle merci rappresenti una delle condizioni essenziali perché una realtà territoriale possa essere considerata “realtà comune”. Ebbene, Schengen forse ha rappresentato, almeno per la mia generazione, il tentativo più concreto di costruzione di un sistema territoriale privo di confini ed insieme a tale accordo un altro atto di grande rilevanza strategica coerente con una simile finalità è stati quello delle Reti Ten-T. A mio avviso queste due scelte testimoniano la chiara volontà ad annullare i confini e a costruire davvero un impianto territoriale comune. Comincio con l’accordo di Schengen. Non posso non ricordare le difficoltà ed i tempi che hanno caratterizzato tale accordo e, come ho già fatto tempo fa, tento, in modo sintetico, di ricordare le varie fasi, le varie involuzioni, le varie evoluzioni che lo hanno caratterizzato. Nel 1985 a Schengen, in particolare il 14 giugno 1985, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi decisero di eliminare progressivamente i controlli alle frontiere interne e di introdurre la libertà di circolazione per tutti i cittadini dei Paesi firmatari, di altri Paesi dell’Unione europea (Ue) e di alcuni Paesi terzi.

Ma ci vollero ulteriori cinque anni per firmare con un apposito accordo la convenzione che completa l’accordo e definisce le condizioni e le garanzie inerenti all’istituzione di uno spazio di libera circolazione. La convenzione fu firmata il 19 giugno 1990 dagli stessi cinque Paesi ed entrò in vigore nel 1995. L’accordo e la convenzione, nonché gli accordi e le regole connessi, vennero inseriti nella legislazione della Unione europea solo nel 1999 e il Trattato di Lisbona ha istituito lo “spazio senza frontiere interne, in cui viene assicurata la libera circolazione delle persone” come uno degli obiettivi dell’Ue. Questo grande risultato purtroppo ha incontrato dei momenti critici ancor prima della crisi ucraina; infatti l’aumento dei flussi migratori verso l’Unione europea avvenuta negli anni 2015 e 2016 e i crescenti timori riguardo ad attività e attacchi terroristici, hanno avuto un impatto sul sistema Schengen, portando alla reintroduzione dei controlli alle frontiere da parte di diversi Stati membri. Nel corso del 2020, a causa del Coronavirus, diversi Stati hanno ripristinato anche i controlli alle frontiere interne, nel tentativo di arginare la diffusione del virus.

Tuttavia questo ritorno alla logica dei confini non aveva messo affatto in secondo piano il forte e convinto interesse degli Stati dell’Unione europea a cercare condizioni capaci di ripristinare le condizioni del Trattato di Schengen. Infatti, in una risoluzione approvata a luglio 2021, gli eurodeputati hanno sostenuto inoltre la creazione del nuovo Fondo per la gestione integrata delle frontiere assegnandogli 6,24 miliardi di euro. Dopo Schengen un’altra occasione è stata quella relativa alla identificazione del Trans european network (Ten-T); tale strumento pianificatorio senza dubbio rappresenta il riferimento più forte e più incisivo di una volontà della Unione europea a 28 Stati (poi con la uscita dell’Inghilterra a 27 Stati) di dare vita alla attuazione di un sistema infrastrutturale comune capace di rispondere alle esigenze di una domanda di mobilità che, a tutti gli effetti, diventava anno dopo anno il vero riferimento per la crescita. I riferimenti di partenza erano nella proposta degli esperti del Piano generale dei trasporti italiano che nel 1985 formularono un apposito master plan dei trasporti dell’Unione europea; una proposta che fu condivisa prima dal commissario Henning Christophersen nel 1994 e poi portò alla redazione del primo documento strategico delle Reti Ten-T del 2005 prodotto da un gruppo ad alto livello coordinato dal commissario Karel Van Miert e nel suo aggiornamento approvato nel 2013.

In queste due edizioni troviamo sempre un chiaro interesse non solo alle reti ed ai nodi interni all’Unione europea ma anche alle interazioni tra tali assi con l’intero sistema al contorno, cioè con i Paesi del Nord Africa, con il Medio Oriente; addirittura la commissaria Loyola de Palacio produsse nel 2005 un’apposita proposta di integrazione tra tutte le reti esterne all’impianto Ten-T. Anche in questo caso questo quadro di proposte, supportato anche da un primo fondo, ha avuto una articolazione temporale di quasi trenta anni; cioè una lunga fase propedeutica. Queste due esperienze invece di dare vita ad una “coscienza comune di Europa” ha prodotto solo accordi, solo un reciproco condiviso strumento in grado di creare le basi per un assetto davvero comunitario senza però creare abitudini e convincimenti che producessero una convinta Unione europea. Mi spiace doverlo ribadire ma forse sarebbe opportuno che:

1) Le reti e i nodi infrastrutturali fossero patrimonio dell’Unione europea e non sono patrimonio dei singoli Stati.

2) Le reti fossero date in concessione non dai singoli Stati ma dall’Unione europea.

3) I nodi portuali, gli impianti interportuali e gli aeroporti fossero di proprietà dell’Unione europea e fossero gestiti da soggetti scelti attraverso gara internazionale bandita e gestita dall’Unione europea.

4) L’Unione europea, attraverso la Banca europea degli investimenti (Bei), garantisse i Piani finanziari degli organismi preposti alla realizzazione ed alla manutenzione di un assetto infrastrutturale che non dovrebbe in nessun modo essere legato alle esigenze ed alle convenienze di un singolo Paese.

Se si considerano questi punti utopici ed irraggiungibili vuol dire che anche Schengen e le Reti Ten-T erano e sono solo utopia; una gratuita utopia per convincersi di essere all’interno di una “Unione europea solo disegnata”. Molti obietteranno sostenendo che esiste l’eurozona e che in momenti critici, come il Covid c’è stata una immediata e diffusa solidarietà, c’è stata la Next Generation Eu, c’è stata cioè una chiara volontà della Commissione europea di definire tre pilastri quali il sostegno agli Stati membri per investimenti e riforme, il rilancio dell’economia dell’Unione europea incentivando l’investimento privato, c’è stato cioè l’utilizzo della crisi come insegnamento per la ripresa. Ma esaminando attentamente anche quelle azioni cariche di convinta volontà ad essere coerenti con un assetto comunitario, scopriamo che c’è sempre solo un diretto o indiretto interesse dei singoli Paesi e non una “finalità comunitaria”.

Voglio una volta tanto essere ottimista e concludo pensando che tutti questi atti propedeutici alla costruzione di una vera Unione europea, sono tutte tappe, sono tutte fasi obbligate per arrivare alla istituzione degli Stati Uniti d’Europa; peccato che questo itinerario sia stato e sia tutt’ora lungo e spesso non adeguatamente capito. Fra pochi mesi ci saranno le elezioni del Parlamento europeo, dovremmo avere il coraggio di appoggiare quegli schieramenti che intendono davvero trasformare una sommatoria di accordi in uno strumento che consenta di diminuire la enorme distanza che ci separa dagli Stati Uniti d’Europa. Lo so è pura utopia ma senza utopia non si cresce.

(*) Tratto da Le Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)