mercoledì 14 febbraio 2024
Ormai siamo assuefatti alla demonizzazione del carbonio. Decarbonizzare il pianeta è il motto degli ideologi green e del parterre di invasati che imbrattano monumenti, opere d’arte e si incollano alle strade cittadine. In realtà, il carbonio è vita: senza di esso non ci sarebbe né vita vegetale né animale. Oggi i nemici principali della improbabile stabilità climatica sono diventati agricoltura e zootecnia. Nell’isteria carbonofobica si dà poco rilievo al fatto che i terreni agricoli siano affamati – ma sempre più impoveriti – di carbonio: elemento essenziale, la cui carenza pregiudica la resa delle coltivazioni. Si spendono trilioni inseguendo (inutilmente) chimeriche riduzioni delle emissioni antropiche, con l’imposizione della onerosa e cosmetica transizione verso la mobilità elettrica e dell’efficientamento edilizio, con insalubri e infiammabili cappotti termici. Pochissimo viene investito nella ricerca sul sequestro e riposizionamento del carbonio, là dove è utile (nel suolo è fisiologicamente presente fino a 4 volte in più che in atmosfera).
Il secondo, presunto, villain dell’effetto serra (in minor quantità, ma più potente) è il metano, rilasciato in agricoltura e principalmente nelle risaie: immaginate costringere miliardi di abitanti del pianeta, che di esso campano, a ridurne la coltivazione. Sorvoliamo, per non ridere, sulle emissioni di metano in zootecnia. Al terzo posto dei presunti colpevoli del riscaldamento climatico vi sarebbe l’azoto, indispensabile nella concimazione (ce ne siamo accorti quando la guerra in Ucraina rischiava di pregiudicarne l’approvvigionamento). Mentre si stigmatizza l’uso dei concimi azotati, allo stesso tempo si pretende la riduzione degli allevamenti di bestiame che pure potrebbero fornire, come sottoprodotto, ammendante naturale. Il suolo della Puglia è ancora oggi, così fertile, grazie a secoli di transumanza delle greggi, dalle montagne dell’Abruzzo verso il Tavoliere (che si chiama così, proprio per derivazione dal termine censorio, tabularium, dei tratturi) e delle loro deiezioni sul terreno. Bruxelles pretende il ritorno alla natura, castigando chi produce, ma non esita a mettere sulle nostre tavole cibi artificiali, come la carne coltivata o i cereali e gli ortaggi importati da quei Paesi dove, pericolosi sostanze e processi chimici, sono ampiamente usati.
di Raffaello Savarese