martedì 16 gennaio 2024
L’approssimarsi delle elezioni per il Parlamento europeo induce ad alcune riflessioni. L’Europa, al termine della Seconda guerra mondiale, è stata ridotta a un cumulo di macerie. I Governi del tempo si sono trovati di fronte all’immane compito della ricostruzione, al quale si sono impegnati con grande determinazione. La Repubblica Federale tedesca veniva così ad attestarsi su percentuali di crescita del 7 per cento annuo del prodotto nazionale lordo; l’Italia, per sua parte, entrava in una fase di crescita del 6 per cento annuo per raggiungere punte del 10 per cento, tanto da gridare al “miracolo economico”; anche la Francia e la Gran Bretagna conoscevano un periodo di sviluppo e di prosperità; si creavano in tal modo le basi per fare del Vecchio Continente un protagonista dell’economia mondiale. Sulla constatazione che la frammentazione delle economie era un ostacolo alla realizzazione di un tale progetto, fu pensato un organismo che attuasse politiche comuni di sviluppo, di prosperità e di pace.
Sulla spinta anche delle forze produttive e dei movimenti europeisti, i Paesi più importanti dell’Europa occidentale hanno adottato decise iniziative nel senso dell’integrazione. Una parte di grande rilievo hanno avuto alcuni politici dotati di un’autentica vocazione europeistica, primo fra tutti Jean Monnet, allora presidente della Ceca, il quale, sull’esempio dell’organismo da lui presieduto, discusse con i rappresentanti dei principali Paesi su un allargamento dei compiti della politica europea. Egli ebbe ad affermare, con una visione profetica, che “i Paesi europei erano divenuti troppo piccoli rispetto al mondo attuale, del quale la scala della tecnologia moderna si misura secondo dimensione americana o russa e si misurerà domani secondo quella della Cina o dell’India”.
Lo stesso Monnet, d’intesa con Paul-Henri Spaak, ministro degli Esteri del Belgio e Johan Willem Beyen, ministro degli Esteri olandese, predispose un memorandum in cui erano previste l’integrazione per settori ed una politica economica generale, che il 6 maggio 1955 fu inviato ai Governi interessati come base di lavoro. Dopo varie vicende si chiuse con i trattati di Roma firmati il 25 marzo 1957, che prevedevano la comunione delle risorse scientifiche, materiali e tecniche per uno sfruttamento dell’energia nucleare, con la creazione della Comunità europea per l’energia atomica (Euratom)e della Cee. I Paesi sottoscrittori del trattato (Francia, Italia, Germania Federale, Belgio, Olanda e Lussemburgo) si proponevano, con la Comunità economica, la creazione di un mercato comune con il graduale avvicinamento delle politiche economiche, una sempre più consolidata stabilità, insieme ad un miglioramento del tenore di vita e ad un collegamento sempre più deciso fra i Paesi membri. Il processo d’integrazione è andato sempre più accentuandosi finché, nel giugno 1979, veniva eletto il primo Parlamento europeo con voto popolare e diretto. Altro importante momento è stato l’atto unico sottoscritto il 17 febbraio 1986 a Lussemburgo che prevedeva il completamento del mercato interno.
L’Unione, come attualmente configurata, è stata prevista nel Trattato di Maastricht entrata in vigore il 1° novembre 1993 mediante il quale gli Stati membri rinunciavano ad una parte della loro sovranità in numerosi campi. Sulla base di tale trattato, dopo dieci anni, il 1° gennaio 1999, venne introdotto l’euro; le monete e le banconote entrarono però in circolazione il 1° gennaio 2002 in dodici Paesi. L’Italia nel 1995, nell’ultima fase di avvicinamento all’euro, è la più lontana dai parametri; l’inflazione era intorno al 5 per cento con la tendenza a salire per il 1996 il deficit di bilancio si aggirava intorno al 7,5 per cento il debito nazionale era al 120 per cento del Pil; per cui era estremamente problematico il suo ingresso nell’euro. Dopo un Governo di transizione, guidato da Lamberto Dini che ha attuato una riforma delle pensioni, spetterà al Governo Prodi il compito di realizzare tutte quelle riforme che consentissero l’ingresso nella moneta unica.
La legge di bilancio relativa al 1997, anno in cui avrebbero dovuto essere raggiunti i parametri di Maastricht, prevedeva una manovra di sessantaduemila miliardi fra tagli di spesa e nuove tasse. Alla fine dell’anno il Paese entrava nei parametri stabiliti, con un’inflazione e un deficit di bilancio scesi al di sotto del 3 per cento; ma è dal 1° marzo 2002 che l’euro è diventata la moneta dell’Italia. Nonostante le solenni enunciazioni e i risultati conseguiti l’Europa non ha però finora attuata una effettiva integrazione. Nello stato attuale essa appare come un club in cui ogni Paese mira alla realizzazione dei propri interessi con una frammentarietà di politiche che non rafforzano l’organismo. Importanti decisioni vengono votate per famiglie politiche e non tenendo presente perfino l’interesse del Paese rappresentato. L’Unione europea per la sua parte, si è impegnata in stravaganze quali lo stabilire la grandezza delle vongole, la misura delle zucchine, anziché elaborare misure strategiche che valorizzassero la sua collocazione nel contesto della politica mondiale.
Tutti gli attori politici devono esplicare un forte impegno per la realizzazione di un tale progetto. L’Italia, in particolare, anche in considerazione dell’irreversibilità del processo integrativo deve inviare gente effettivamente capace e non persone bocciate nella politica nazionale. Per quanto riguarda la politica estera l’Europa in alcuni importanti settori, deve essere dotata di competenza esclusiva; deve inoltre munirsi di strumenti e affrontare la concorrenza della Cina e degli Stati Uniti. Nella politica interna deve attuare scelte che favoriscano lo sviluppo di tutti i Paesi membri procedendo all’armonizzazione dei sistemi fiscali. Il principio della libera concorrenza non va applicato in astratto, ma tenendo conto delle situazioni effettive dei vari settori che costituiscono il sistema produttivo dei Paesi aderenti. Non bastano perciò le manovre monetarie, ma occorrono contestuali politiche di piano; bisogna favorire gli investimenti produttivi, finalizzandoli alla eliminazione degli squilibri fra il nord e il sud del Continente. Le tassazioni devono essere anche viste quale mezzo di acquisizione di risorse per una politica di investimenti e per far partecipare al benessere tutti i cittadini europei. L’Italia, che è uno dei Paesi fondatori, deve recuperare un ruolo di protagonista anche per onorare la sua storia.
di Antonio Contaldi