giovedì 11 gennaio 2024
“È un momento decisivo che richiama tutti al senso di responsabilità”. Lo ha detto il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, nel corso di una informativa al Senato, a proposito dell’ex Ilva. “C’è l’urgenza di un intervento drastico che segni una svolta netta rispetto alle vicende per nulla esaltanti degli ultimi dieci anni”. Il ministro ha sottolineato un aspetto dirimente. “Nulla di quello che era stato programmato e concordato – ha detto – è stato realizzato. Nessuno degli impegni presi è stato mantenuto in merito agli impegni occupazionali e al rilancio industriale. In questi anni la produzione si è progressivamente ridotta in spregio agli accordi sottoscritti. Perfino negli anni in cui la produzione di acciaio era altamente profittevole in Europa, come nel 2019, è stata mantenuta bassa lasciando campo libero ad altri attori stranieri”. Sull’ex Ilva “intendiamo invertire la rotta cambiando equipaggio. Ci impegniamo a ricostruire l’ex Ilva competitiva sulla tecnologia green su cui già sono impegnate le acciaierie italiane, prime in Europa. L’impianto è in una situazione di grave crisi. Nel 2023 la produzione si attesterà a meno di 3 milioni di tonnellate, come nel 2022, ben sotto l’obiettivo minimo che avrebbe dovuto essere di 4 milioni, per poi quest’anno risalire a 5 milioni”.
“Tutti voi sapete che l’impianto è in una situazione di grave crisi – ha detto il ministro – nel 2023 la produzione si attesterà a meno di 3 milioni di tonnellate, come nel 2022, ben sotto l’obiettivo minimo che avrebbe dovuto essere nel 2023 di 4 milioni, per poi quest’anno risalire a 5 milioni. Nulla di quello che era stato programmato è stato realizzato. Nessuno degli impegni presi è stato mantenuto in merito ai livelli occupazionali e al rilancio industriale”. Urso ha spiegato che “in questi anni la produzione si è progressivamente ridotta in spregio agli accordi sottoscritti, persino negli anni in cui la produzione di acciaio era altamente profittevole, come nel 2019: la produzione è stata mantenuta bassa, lasciando campo libero ad altri attori stranieri che hanno aumentato la loro quota di mercato”.
“Di fronte alla minaccia di abbandonare il sito e in assenza di alternative, nel marzo 2020 il Governo Conte 2, ministro Patuanelli, avvia una nuova trattativa con gli investitori franco-indiani da cui nascerà Acciaierie d’Italia con l’ingresso di Invitalia al 38 per cento e con la sigla di patti parasociali fortemente sbilanciati a favore del soggetto privato. Patti che definire leonini è un eufemismo. Nessuno che abbia cura dell’interesse nazionale avrebbe mai sottoscritto quel tipo di accordo. Nessuno che abbia conoscenze delle dinamiche industriali avrebbe accettato mai quelle condizioni. La governance era di fatto rimasta nelle mani del socio privato che nel frattempo però deconsolidava l’asset, a dimostrazione del proprio disimpegno, richiamando anche i propri tecnici e non immettendo più alcuna risorsa nell’azienda”, ha proseguito Urso.
di Redazione