Presente, e pensa

mercoledì 10 gennaio 2024


Queste braccia alzate non sono di fondamentalisti vari, ma di “un popolo”, che ancorché usi i simboli di un tempo andato, ha compiuto un gesto dissacratorio che deve interrogare le coscienze fino al midollo. Quei partecipanti, che ancora hanno urlato “presente” e si sono schierati a difesa della memoria, lo hanno fatto in onore del cielo dove riposano tre “anime belle” di tre giovani stroncati dall’odio e dalla presunzione che può accecare, quando si sceglie di contrastare un avversario con la bava di annullarlo. Sono vittime sacrificali di un Olimpo epico contemporaneo, che andrebbe portato nelle scuole, per realizzare la consapevolezza dei giovani e aiutare loro a trarre dal passato la forza di sanare i torti, tradurre le ragioni in progresso e lavare le colpe che ricadono come frammenti di detriti sulla nostra verde speranza.

Queste vittime non solo meritano la commemorazione non statica istituzionale, ma un’alzata in piedi e un segno comune, braccio alzato e “presente” di tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado, fin nelle università. Una celebrazione di tutto il popolo degli studenti, perché questi giovani hanno pagato orribilmente neppure gli orrori di una guerra, ma il degrado del confronto e l’orrore della protervia. Non erano “fascisti” nel senso degenerato che crea solo altri mostruosi regimi, e non sono fascisti quelli che ai tempi protestavano, e non sono fascisti quelli di oggi. Il braccio alzato non ha nulla a che vedere con l’esecrabile, semmai esecrabili sono alcuni che lo hanno usato o vituperato a insulto del “saluto romano”, che invece è onore storico dell’Italia nel mondo. Urlatelo dentro e poi ovunque! Altrimenti sarebbe solo ridicolo che c’è chi si vanta di poter circolare impunemente nella politica, sfruttando la eco dell’inno nazionale, senza poi mostrare rispetto per il popolo nei suoi diritti e diritti di memoria.

Occorre insegnare ai giovani non le stoltezze della cancel culture, il rovesciare le statue, i simboli, strappare le pagine, censurare la storia a piacimento. Quella è la barbarie culturale che deriva dall’inabilità a rappresentare la storia e l’evoluzione dell’idealità politica e di rappresentanza e che non sa compiere la necessaria trasformazione, indispensabile addirittura al tempo che batte i suoi rintocchi. Tutto ciò che è stato è materia di studio e non di vituperio. Invece, inaudito, chi di quelle giovani vittime, che urlano nella carne fino a straziarla e che dovrebbe chinare la testa e spiegare diritti scemanti in devastanti pretese, cade in torti marci. Costoro si vorrebbero permettere di andare nelle istituzioni, sui media, sdoganando intanto la propria impudicizia, e pretendendo il biasimo totale, la schedatura, forse anche misure per tappare le bocche, come l’informazione che è sotto la minaccia di “leggi bavaglio” del partito unico. Chi dovrebbe fare ammenda di se stesso e se stessa, insieme ad altri impossibilitati nell’esercizio della giusta rivendicazione, chiede il peggio delle censure e dello stato di polizia, arrivando a distorcere il profilo di secoli e intere epoche “romane”. Cioè la gloria italiana. Perché quando si pensa di poter ammazzare presunti avversari come è accaduto, senza giusti processi pare concessi perfino a un Olindo e a Rosa, la divina provvidenza opera schiantando anche la natura di indegni del genere umano.

Quelle persone, forse non tutti, che hanno commemorato così tre “anime belle” meritano il nostro encomio morale. Non hanno lasciato sulla terra, tra la polvere e il sangue, sotto il colpo finale degli sputi, il diritto di ogni essere umano alla sua “verità”. E dopo, sappiatelo, è accaduto solo peggio: altri giovani caduti, morti, eliminati dal poter essere nato, con il proprio talento, bontà e generosità umana, senza che nessuno abbia potuto dire neppure una giusta preghiera. Cioè, l’aberrazione che corre sul pianeta col volto non di satana ma di una proterva massa di arrampicatori, che s’intestano il diritto di uccidere e sterminare chi è minaccia al proprio delirio di onnipotenza.

Dopo questi tre giovani caduti sotto esecuzioni imparagonabili neppure con quelle da cinema, sono venuti gli occhi, il cuore, la mente, strappati a chi “da morto” dovrebbe pure accusarsi e accusare la famiglia, renderla uno scempio tal per cui sorgono orrori. Madri che non riconosco i figli, sorelle e fratelli trasformati in “mostri”, parenti corrotti e schiantati, amici lobotomizzati e un futuro con un debito di verità da apocalissi. Resto alla mia finestra a osservare albe e tramonti, ad ascoltare l’universo. Un astrofisico mi ha spiegato che “l’universo suona”, canta e colora dolci racconti che come una carezza aiutano la carne a non incendiarsi. Presente, io ci sono: era il gesto epico di una romanità che ancora oggi richiama visitatori da ogni parte tutti in un punto e che, in memoria dei “suoi figli”, i quali come “piccole anime smarrite e soavi” avevano solcato l’Ade, potesse ai padri – e ai Padri – concedere di alzare il braccio al cielo ed in eterno unire la gloria, l’onore, l’amor patrio. Non ci può essere rispetto per l’Italia, se chi la vive e l’agogna non vive e santifica la sua musa.

Finisco con un sogno del divino Achille, scaraventato nella mia memoria quando una madre si è vista sola e crocifissa. Ho sentito come la voce di “mio figlio” che diceva come quando era bambino e giocava a nascondersi “mamma, mi vedi, sono qui”. E io con l’animo rivolto alla trasparenza dell’eterno vedevo un cavallo bianco e una testa pura di cuore biondo che trascinava con fatica ma forza il suo coraggio nei Campi Elisi. Poi mi ha detto: "Non piangere, Madre”. E io: “Attento ragazzo!”. “Stai serena, mio Padre mi ha rivestito del fulgore dell’ovunque”. Presente, dunque. Dio chinerà la sua fama agli eroi. Al cielo la giustizia.


di Donatella Papi