Israele, Palestina e Radicali

mercoledì 1 novembre 2023


Certo: la situazione in Medio Oriente è in questi anni mutata; certo: la situazione all’interno della stessa Israele si presenta complicata, complessa: è un Paese impaurito e frastornato, dilaniato, preda di fanatismi non meno inquietanti e pericolosi di quelli che ne minacciano l’esistenza e lavorano per la sua cancellazione: distruzione dell’entità Israele, distruzione dell’ebreo in quanto tale.

Certo: tocca fare i conti con una realtà riassumibile in: “Si può cominciare con un ebreo, si può finire con un ebreo; ma dell’ebreo non ci si dimentica mai”.

Vale ancora, e più che mai, il monologo shakespeariano de Il mercante di Venezia, quando Shylock dice: “Ha riso delle mie perdite, deriso i miei guadagni, offeso la mia nazione, ostacolato i miei affari, raffreddato i miei amici, infiammato i miei nemici; e per quale ragione? Io sono un ebreo. Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, un ebreo, organi, membra, sensi, affetti, passione? Non è nutrito dallo stesso cibo, ferito dalle stesse armi, assoggettato alle stesse malattie, curato dagli stessi rimedi, riscaldato e raffreddato dallo stesso inverno e dalla stessa estate, come lo è un cristiano? Se ci pungete, non sanguiniamo? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci fate torto, non dovremo vendicarci?”.

L’hic et nunc della tragedia che si è consumata e si consuma (quella ancora più spaventosa che si potrebbe a breve concretare) non può lasciare indifferenti. Al tempo stesso occorre anche dire, forte e chiaro, “nunca mas”, come le instancabili madri argentine di Plaza de Mayo (vero, papa Francesco?). E occorre dire, forte e chiaro a chi si proclama amico dei palestinesi che se vuole risultare credibile ed essere creduto, deve premettere che i tagliagole di Hamas e chi li manovra sono come i nazisti. È la premessa per qualunque discussione.

Il “ragionevolissimo” “Due popoli, due Stati” è – oggi – la giaculatoria ripetuta ritualmente da chi mostra di non conoscere per nulla la realtà che si è creata. Uno Stato presuppone un territorio. Quale? Dove? Presuppone un’amministrazione, una burocrazia, un qualcosa che “governa”. Chi, dove? Come? Uno Stato comporta che chi sente di farne parte va a viverci. Provate solo a immaginare quanti e come... Uno stato palestinese sarebbe come una pentola a pressione, e si provi solo a immaginare in quale direzione e ai danni di chi, esploderebbe; le scelte sono solo due: Israele o la Giordania, peraltro in larga misura già popolata da una maggioranza palestinese.
Non può che essere altro, il possibile percorso da seguire: proprio quello all’apparenza più utopico, irrealistico; quello che potrebbe/dovrebbe sfociare in una confederazione. Con tutti i distinguo, i “se”, i “ma” che non sfuggono, il modello svizzero, quello immaginato da un Carlo Cattaneo da noi stessi spesso dimenticato.

Siamo alla vigilia di un congresso di iscritti italiani al Partito Radicale. In agenda senz’altro una quantità di temi e questioni gli uni più pressanti degli altri. Altro che due giorni e mezzo e una manciata di minuti per intervento occorrono per metterli semplicemente a fuoco, farne un “indice”. Purtuttavia occorrerà nei giorni a venire trovare dei luoghi di riflessione, confronto, dibattito. Un Partito Radicale che intenda essere tale, con le sfide e le ambizioni che legittimamente si pone, non si può limitare alle sillabe di un “like” telematico. Quel “Logos” che è la nostra cifra, sintesi di pensiero e parola ha necessità di altri spazi e regole. Di questo sono convinto. Un “sasso” che per ora getto nel nostro stagno è costituito da un intervento di Marco Pannella, pubblicato sul Corriere della Sera del 22 agosto 2006. Occorre tener presente che sono trascorsi quasi vent’anni, che molto è mutato; ma il nucleo essenziale di quell’intervento mantiene immutata la sua attualità e rivoluzionante valida proposta. È un invito esplicito, il mio a fare tesoro e memoria di un nostro patrimonio, e cercare di assicurarne un futuro.

Israele nella Ue contro la guerra senza confini

di Marco Pannella


Il Primo “Grande Satyagraha Mondiale per la Pace”, la cui convocazione è in corso, ha l’obiettivo di costruire rapidamente una alternativa politica al possibile, per noi probabile, scoppio di una guerra senza confini (geografici e per armi usate) a partire dal sisma mediorientale; entro i prossimi mesi, se non settimane. Questo tentativo radicale ha il suo diretto precedente: l’iniziativa “Iraq Libero” come alternativa alla guerra, che ottenne straordinarie adesioni anche istituzionali italiane (sostegno della maggioranza assoluta dei parlamentari nazionali ed europei) e nell’Ue; con gruppi di sostegno (via Internet, pubblici) da oltre 130 Paesi dell’Onu. Oggi è pienamente ragionevole e lecito ritenere che la decisione di avviare l’iniziativa bellica contro Saddam fu accelerata, o non ritardata, proprio perché Saddam era in procinto di accettare l’esilio ‒ per sé e i suoi principali collaboratori ‒ con conseguente gestione Onu di un piano di transizione al regime democratico e con la gestione provvisoria e iniziale da parte di statisti e personalità come Michel Rocard e Amartya Sen. Si preferì acquistare il “tradimento” dei tre principali generali iraniani, sciagurata scelta, come troppi fatti, oggi, consentono di sospettare.

Con l’iniziativa attuale si tenta di prevenire e/o controllare gli effetti dell’annunciato sisma bellico mediorientale, propagandato ufficialmente a livello di Stati come l’Iran, e dalla componente più “prestigiosa” e potente del complesso Sistema terroristico che sta dilagando e rafforzandosi nel mondo. Per l’Iran, per gli Hezbollah, per Bin Laden. la guerra è già ufficialmente in corso con l’obiettivo propagandato di colpire, se possibile, a morte ed eliminare dal Medio Oriente, lo Stato e il popolo di Israele. Ma questa guerra e per loro in realtà l’occasione, lo strumento per realizzare il rivoluzionamento distruttivo dell’ordine (o disordine che sia) internazionale esistente, quale affermatosi dalla fine degli anni Ottanta nel mondo.

L’esistenza isolata dello Stato nazionale di Israele, la sua sovranità sullo 0,2 per cento del territorio del Medio Oriente, favorisce una strategia volta a realizzare un potere totalitario-islamista, almeno e per cominciare su quello spazio. L’obiettivo è quello di distruggere ogni rapporto con il mondo moderno che non sia quello di dominare o sottomettere anche ogni regime “moderato”, accusato di debolezza corruttrice, sospettato di virtuali tolleranze ed evoluzioni laiche e democratiche delle loro società. Apice di una storia antimoderna o suo colpo di coda?

Nel contesto del Grande Satyagraha, l’obiettivo di Israele nella Ue, della sua conversione diventa, quindi, fortemente strumentale per la politica di pace come alternativa all’imminente per noi probabile guerra. Alla sovranità limitata di già propria agli altri 25 Stati membri dell’Ue, sicché, questo obiettivo, da trent’anni proprio del Partito Radicale Transnazionale, potrebbe costituire anche proprio di forze politiche tradizionalmente ostili, tanto quanto noi siamo stati e siamo favorevoli, ad Israele. Infatti, anche costoro potranno meglio considerare che le condizioni per far parte dell’Unione europea sono quelle tassativamente oltre che democratiche d’ispirazione e metodologia pacifiche. Israele, parte di un’Unione europea di oltre mezzo miliardo di persone, potrebbe essere indubbiamente più disponibile e interessata sia a rinunce territoriali sia a rapporti politici istituzionali ed economici radicalmente nuovi con libanesi democratici, con uno Stato democratico palestinese, con l’intero Medio Oriente.

Sin d’ora il Satyagraha per la Pace propone una riflessione all’Ue, istituzione parlamentare inclusa: se entro cento giorni Bruxelles e Israele decidessero di iniziare un negoziato volto all’ingresso nella Ue di Israele, con procedura straordinaria quanto a tempi di un suo successo o di un suo fallimento, un masso sarebbe lanciato in uno stagno mefitico e dalle esalazioni letali, erede, anziché superamento definitivo, del mondo e dell’Europa degli anni della Shoah. Le motivazioni, gli obiettivi per scatenare la guerra mediorientale diverrebbero manifestamente indeboliti, più che dubbia la sua convenienza ed il suo esito. E faciliterebbe il naturale e auspicato divorzio fra quanti si oppongono alla politica di Israele ma sono disponibili a difenderne il diritto all'esistenza e la dignità, e quanti – invece – perseguono con strategie terroristiche l'obiettivo di instaurare ovunque regimi totalitari islamici in luogo di regimi anche “moderati” che siano suscettibili di richiamarsi ai valori fondanti della civiltà moderna, iscritti nelle Carte e Dichiarazioni costitutive dell’Onu e della Comunità internazionale.

(*) Corriere della Sera del 22 agosto 2006


di Valter Vecellio