La “Immigration War”: sempre più ibrida

giovedì 21 settembre 2023


A proposito di guerre ibride. L’immigrazione indiscriminata di massa attuale presenta o no le caratteristiche tecniche appropriate, per cui si può correttamente parlare di un conflitto atipico ma aperto tra Nord e Sud del mondo? La risposta, in un senso o in un altro, non può che derivare da un’attenta analisi dei processi storici, geopolitici e socio-economici che hanno generato migrazioni epocali, sia nel recente passato che nel presente. Ora, a quanto pare, il fenomeno si presenta con almeno due aspetti fondamentali che legittimerebbero la sua assimilazione alla tipologia della guerra ibrida. In primo luogo, si è già avuto modo di verificare la circostanza di come importanti movimenti di massa di popolazioni sub sahariane, e non solo, abbiano rappresentato una chiara forma di ricatto geopolitico, messo in atto da Stati autocratici mediterranei extraeuropei.

Si citano in merito la Libia di Muʿammar Gheddafi pre-2011; la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan; la Tunisia di Kaïs Saïed e la Cirenaica di Khalifa Haftar. Ultimamente, anche la Bielorussia di Alexander Lukashenko si è unita a questa strategia, facendo arrivare al confine comune con la Polonia una considerevole massa di migranti irregolari, provenienti da altre rotte continentali. Per quanto riguarda l’esodo verso l’Europa di milioni di ucraini in fuga dalla guerra, questo aspetto dell’Immigration War è stato attentamente valutato e poi attuato dagli alti comandi militari e dai vertici politici russi, nella speranza di destabilizzare attraverso la migrazione forzata il quadro interno dell’Unione europea e della Nato. Il secondo aspetto, invece, riguarda atti assimilabili alla pirateria e al terrorismo internazionali, messi in atto da organizzazioni criminali attive nel traffico di esseri umani e che operano indisturbate in Paesi mediterranei extra Ue che, di fatto, colludono con i loro interessi criminali.

In questo secondo caso, se l’Ue fosse una federazione coesa di Stati, sarebbe piuttosto facile attuare una difesa comune delle frontiere, coinvolgendo l’uso massivo di droni e i seals team delle forze speciali per fermare a terra i barconi prima che ricevano i loro carichi dolenti, in modo da distruggere tutte le infrastrutture dei trafficanti di uomini e le loro basi terrestri e marine, in base al codice internazionale antipirateria. Il primo aspetto, invece, della vera e propria hybrid immigration war, risulta ben più delicato da affrontare, anche in considerazione dei disastri che abbiamo causato con la caduta di Gheddafi e l’appoggio incondizionato alle primavere arabe che, nel caso delle milizie fondamentaliste in guerra contro il dittatore siriano Bashar al-Assad, hanno causato almeno mezzo milione di vittime.

Queste iniziative, com’è noto, hanno avuto esiti del tutto destabilizzanti per noi e per i Paesi coinvolti, non fosse altro che per l’enorme numero di vittime e di profughi che hanno causato, non avendo l’Europa individuato in via preliminare gli opportuni accordi internazionali e regionali per una successione politica concordata, sia a Tripoli che a Damasco. Ora, l’assalto di migranti irregolari alle coste mediterranee (non dissimile da quello che avviene al confine tra Stati Uniti e Messico), favorito dalle organizzazioni internazionali di trafficanti di uomini, si fonda su due profonde debolezze istituzionali degli Stati occidentali interessati. Perché è chiarissimo che i nuovi negrieri hanno un’assoluta padronanza degli strumenti giuridici, che fanno capo alle due Convenzioni internazionali di Ginevra e del Diritto del mare. Onde per cui, da un lato, chiunque arrivi alle frontiere comuni europee, marine e terrestri, si dichiara asilante e pretende di vedere esaminata dagli Stati membri la relativa istanza, mentre, dall’altro, per arrivare forzosamente sul territorio europeo si fa espressamente naufrago, obbligando così i Paesi europei rivieraschi al salvataggio e al soccorso in mare senza condizioni.

È chiaro che sia i trafficanti che le loro vittime consenzienti e paganti puntano, una volta arrivati in Europa (sui barconi, o in piccoli gruppi di irregolari portati via terra dai passeur), sull’impossibilità pratica del respingimento dei non aventi diritto all’asilo, per la riluttanza e/o la mancanza di accordi con i Paesi di provenienza a riprendere indietro i propri connazionali. Ora, sull’aspetto giuridico, è chiaro che occorre indire al più presto una Conferenza internazionale di riforma della Convenzione di Ginevra (nata per tutti altri scopi e per piccolissimi numeri!), che non si può utilizzare come grimaldello legale per forzare l’accesso alle frontiere europee o statunitensi. In sua sostituzione, l’indizione di una Conferenza ad hoc, composta dai principali Stati di accoglienza (l’Ue deve poter designare un suo rappresentante unico) e dalle organizzazioni.


di Maurizio Guaitoli