mercoledì 20 settembre 2023
In tema di migrazioni di massa due sole cose, sulla base dell’esperienza passata, sono certe: fermarle drasticamente è praticamente impossibile e, presto o tardi, si ridurranno spontaneamente divenendo sì “strutturali”, ma in termini quantitativi accettabili e funzionali. Tuttavia, prima che il secondo esito, il quale dipende da evoluzioni di varia origine, si realizzi, i Paesi maggiormente interessati dal massiccio arrivo di migranti, come l’Italia, sono destinati a soffrire notevoli pressioni e a generare reazioni politiche disordinate e potenzialmente dirompenti. Cercare di affrettare il processo di smorzamento del fenomeno migratorio contingente è dunque impellente ma, per farlo, occorre capirne seriamente le cause. In un recentissimo testo a cura della Direzione generale della comunicazione del Parlamento europeo si sottolineano correttamente le due fondamentali origini motivazionali del fenomeno in questione. Da un lato vi sono fattori di spinta, come povertà e guerre e, dall’altro, fattori di attrazione come la convinzione che, in altri Paesi rispetto al proprio, si possano trovare condizioni di vita significativamente migliori. È dunque evidente che, per abbassare la propensione migratoria, occorrerebbe agire su questi fattori. Non sfugge, d’altra parte, che agire sul primo implica una politica di lungo periodo e che presumibilmente è più agevole, e anche più urgente, agire sul secondo.
A parere di molti osservatori la tipologia dei migranti sta cambiando per cui alla fuga da guerre o povertà (la spinta) si sta gradualmente sostituendo una motivazione generica tesa al perseguimento di condizioni esistenziali migliori (l’attrazione) che coinvolge soprattutto le fasce più giovani. Sta di fatto che questa nuova forma di migrazione non si orienta verso Paesi africani diversi dal proprio bensì direttamente all’Europa. Ma quali sono le fonti dalle quali quantità per ora crescenti di giovani africani traggono la convinzione che valga la pena affrontare un viaggio incerto e rischioso? Fenomeni di questa indole si fondano sempre sulla circolazione interpersonale di notizie indirette e persino di dicerie attraenti che si auto-amplificano nei gruppi di coetanei e, attualmente, l’innesco principale è senza ombra di dubbio la comunicazione televisiva e via Internet ed è dunque su questa che sarebbe strategico agire.
Oggi le società occidentali, ma non solo quelle, dispongono di mezzi tecnici e di conoscenze psico-sociologiche sufficienti per organizzare una vera e propria campagna dissuasoria capace di prevalere sulle notizie e le dicerie di cui sopra. L’Unione europea dovrebbe farsene carico e sicuramente una simile iniziativa godrebbe dell’approvazione unanime di tutti i Paesi membri. Dovrebbe trattarsi di un’intensa e prolungata comunicazione multilingue, testuale e per immagini nonché integrata da testimonial percepibili come rilevanti e quindi persuasivi, elaborata partendo dai dati di fatto circa i rischi del viaggio, dalla precarietà dell’accoglienza immediata e dalla illustrazione del destino successivo non propriamente paradisiaco, rimpatri inclusi. Parallelamente, la campagna potrebbe informare adeguatamente sulle vie regolari da seguire, ivi comprese le possibili offerte di lavoro. Una simile strategia non sarebbe di certo in grado di bloccare il fenomeno migratorio ma altrettanto certamente contribuirebbe a ridurre la quantità di giovani che, attratti dal benessere vistoso che viene loro mostrato dalle più diverse fonti presenti in televisione e su Internet, pubblicità consumistica inclusa, decidono di gettarsi nell’avventura.
di Massimo Negrotti