Reddito di cittadinanza: il grande flop

venerdì 11 agosto 2023


Da mesi le polemiche sul reddito di cittadinanza si moltiplicano e davvero non se ne può più di riascoltare per la millesima volta sempre le stesse identiche affermazioni da parte dei due schieramenti, uno di governo e uno di opposizione. Tuttavia, nell’infuriare delle polemiche, solo assai di rado si sentono dire – cosa stupefacente, neppure da parte della maggioranza – alcune banali verità, utili a stemperare i confronti e a mettere le cose al loro posto.

La prima è che, per come era stato pensato e fortemente voluto dai pentastellati, il reddito di cittadinanza non era da reputarsi per nulla un sussidio alla disoccupazione, ma un metodo di avviamento al lavoro. Ricordo bene come durante le trasmissioni televisive di approfondimento politico degli ultimi tre anni, se per caso qualcuno lo chiamava sussidio, scattava immediatamente la protesta vibrata del pentastellato presente il quale, redarguendo puntualmente il suo interlocutore, ribadiva che non si trattava in nessun modo di un sussidio, ma di un sistema per trovare lavoro per chi non l’avesse. E allora? Come mai oggi che il governo ha ridimensionato il reddito di cittadinanza – pur non eliminandolo del tutto – pentastellati e sinistra tutta saltano in aria, quasi fossero stati morsicati da una tarantola, accusando la maggioranza di voler togliere il solo sussidio possibile ai disoccupati? Ma non erano loro a ribadire in ogni dove che non si trattava di un sussidio?

Occorre dunque che la sinistra tutta si metta d’accordo con se stessa. Se il reddito di cittadinanza è un sussidio, allora hanno preso in giro gli italiani, dicendo una cosa e facendone un’altra; se invece è, come hanno sempre detto e ripetuto, una sorta di avviamento al lavoro, allora bisogna prendere atto del suo fallimento, cosa che la stessa sinistra ammette pubblicamente. Sicché, siamo di fronte ad un paradosso che se non fosse tragico – perché giocato sulla pelle degli italiani – sarebbe perfino comico: la sinistra oggi protesta contro il governo, muovendo da ciò che il reddito di cittadinanza – come dice la sinistra – non è (un sussidio), mentre tace per ciò che esso – come dice sempre la sinistra – è (un avviamento al lavoro). Insomma, oggi la sinistra è pronta a scendere in piazza a protestare per una cosa che non c’è. Il sussidio. Interessante, vero?

La seconda verità da ricordare è che proprio in quanto il reddito di cittadinanza veniva considerato un metodo di avviamento al lavoro, erano stati reclutati circa tremila navigators con il compito di instradare i percettori del reddito verso un’attività lavorativa, obiettivo miseramente mancato. Originariamente, costoro dovevano essere circa diecimila, ma poi si preferì provare pena (stiamo parlando sempre dei pentastellati) per le casse dello Stato e ci si fermò a tremila. Ciascuno di questi ovviamente era regolarmente stipendiato con circa 1.500,00 euro mensili e assistito da un ulteriore dazione di euro 300,00 al mese per spese necessarie al proprio compito, oltre naturalmente ai contributi previdenziali e assicurativi.
Quanto ci son costati questi signori – il cui compito è stato prorogato di quasi un anno – fino ad oggi? Facendo quattro conti, mi sembra che la spesa complessiva si aggiri sui 40 milioni di euro (ma le operazioni aritmetiche non sono il mio forte). Sarebbero benedetti – perché ben spesi – se il risultato sperato fosse stato raggiunto, sia pure parzialmente, a favore dei circa due milioni di percettori del reddito o comunque di una maggioranza di loro. E invece, no. A trovare un lavoro – in molti casi a tempo determinato – sono stati meno del 15 per cento dei percettori, vale a dire una percentuale irrisoria, anche in rapporto alle spese affrontate. 

Ecco perché oggi gli stessi pentastellati ammettono che il reddito andrebbe comunque riformato, visto il suo sostanziale fallimento. Eppure, essi, come già notato sopra, scendono in piazza per una cosa diversa da questa: perché il governo ha ridimensionato – secondo ciò che i pentastellati dicono oggi – il sussidio per i disoccupati.
Strabismo politico-sociale? Forse. Inguaribile condizionamento ideologico? Probabilmente. Dimenticavo un piccolo particolare: finito – malamente – il loro compito, i navigators chiedono al governo di essere stabilizzati. E ti pareva? Essi, ben sapendo che in Italia nulla è più definitivo del provvisorio, giocano questa carta e vedremo cosa farà il governo. Certo, rimane una domanda senza risposta: ma se costoro non son riusciti ad assicurarsi un lavoro stabile per loro medesimi, come si poteva pretendere lo trovassero per altri due milioni di italiani?  

La terza verità sta nel ricordare che il reddito non era stato mai pensato dai pentastellati come eterno e intangibile, ma limitato nel tempo: un triennioI tre anni son trascorsi, purtroppo invano. E allora come si può pretendere – se si è normalmente orientati nel tempo e nello spazio – di perpetuare all’infinito un congegno sociale sbrindellato e senza costrutto?
Limitiamoci a dire, per pudore, che si è trattato di una sorta di esperimento sociale finito male. E che Dio ci perdoni per aver gettato dalla finestra un mare di denaro che poteva esser destinato a creare proprio quei posti di lavoro che i percettori del reddito non hanno mai trovato. Questa, dunque, la morale: due milioni di italiani, destinatari del reddito, cercavano il lavoro senza trovarlo; se quel denaro fosse stato usato per propiziarlo, la maggioranza di quei due milioni di italiani avrebbero già trovato un lavoro. A patto, naturalmente, di non percepire il reddito.   

E qui scatterebbe un applauso: del Signor de La Palice.    


di Vincenzo Vitale