Dove va la politica: breviario post-elettorale

venerdì 9 giugno 2023


Nel 1984 vivevo a Roma e stavo sviluppando un mio progetto con un team di Rete 4, che allora era proprietà di Mondadori e di altri editori. Il gruppo di lavoro comprendeva due registi di videomusica e di cinema, Gianfranco Giagni e Giandomenico Curi. Ci trovavamo al Centro Safa-Palatino, gestito allora dalla casa di produzioni cinematografiche Gaumont Italia, presieduta da Renzo Rossellini, figlio del regista Roberto.

L’idea era realizzare micro-storie per la televisione, sfruttando la computer animation (in Italia allora c’era il secondo centro di produzione di cartoni animati al mondo, dopo quello del Giappone). Le micro-storie sarebbero state create dagli autori di fumetti allora in voga: c’erano Stefano Tamburini, Andrea Pazienza e tutto il gruppo de Il Male e di Frigidaire, oltre ad autori più classici della Bonelli. Detto di passaggio: anche il mondo del fumetto è in via di estinzione. Ci sarà un perché?

Il delegato di Gaumont era il direttore del dipartimento Televisivo, Bruno Restuccia. Girammo il “pilota” – che sarebbe la prima puntata di un prodotto cinetelevisivo  in base alla quale si decide se passare alla produzione. Ero gasato. Poi, dalla sera alla mattina, Rete 4 fu acquistata dalla Fininvest di Silvio Berlusconi, che investì miliardi di lire per ristrutturare il tutto e azzerò i progetti in atto. Puff.

Ho descritto questa vicenda perché restai molto colpito dal lavoro svolto sulla sceneggiatura. Avevo letto e studiato la prima stesura. Sembrava buona. Poi lessi il testo definitivo. Era praticamente sparito tutto: pochissime parole. E quelle poche non dicevano (quasi) niente, essendo risicate come la camminata di un bradipo. Ho seguito diverse campagne elettorali, comprese le recenti elezioni comunali. Ho notato un crescente uso delle forbici: il candidato che comunica meglio è quello che comunica meno. Conta di più la prossemica, il come si parla, il dimostrarsi educato, poco aggressivo, gentile, utilizzare l’I care di Barack Obama, cioè presentarsi come uno che ha a cuore il benessere dei cittadini. È una strada buona, ma difficile per politici poco esperti e acculturati.

Alle parole dei politici non crede quasi più nessuno. Si capirà, quindi, perché i candidati sindaci sempre più evitano di dire ciò che faranno: hanno una scarsa sicurezza e confidenza sulle proprie idee. Perché i politici non si fidano persino delle loro idee ed evitano di presentarle nella comunicazione elettorale? Forse perché esistono i “responsabili della comunicazione”, laureati. Pensano loro a tutto, anche se a volte sono peggio dei “poeti laureati” contro i quali il premio Nobel Eugenio Montale (non laureato in un’università) si scagliava spesso e a ragione.

Sintetizzando: un politico non solo non si fida delle proprie idee, ma anche di quelle del suo consulente politico. Il quale a sua volta non si fida dei suoi suggerimenti, dato che questi provengono dalla segreteria centrale del partito. Un candidato sindaco può tagliare la testa a questi problemi, pensando di fare da solo. Il candidato con il quale mi sono schierato era un civico e ha potuto presentarsi senza troppe ingerenze, avendo successo. Ma inevitabilmente non tutti hanno idee per la città che vorrebbero amministrare.

Un altro aspetto che spinge a dire poco o niente è il seguente: se provi a dire qualcosa di sensato sulle politiche che vorrai attuare, ti metti a nudo davanti al tuo avversario. Il concorrente avrà modo di trovare falle nelle tue proposte e ti affonderà: con un post sui social, un manifesto, un dibattito. Quindi meglio limitarsi a qualche slogan. Tornando a Montale: “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Ma siccome il politico medio non conosce le poesie, il suo dire si riassumerà così: “Questo solo oggi possiamo dirvi: uno slogan”. Uno slogan spesso insignificante.

Di conseguenza, anche il confronto diretto tra i candidati si riduce a poco: si eviterà di discutere sui contenuti del programma elettorale (si somigliano tutti). Su questi scogli naufragano i fondamenti della Politica come li enunciò Aristotele: l’Etica e la Politica pongono il Bene come base della società. Aristotele aggiungeva: “I re insieme agli anziani, se sono d’accordo, hanno l’autorità di presentare o meno alcune questioni. Se non sono d’accordo, è il popolo a decidere anche di queste” (Politica, II, 11); “… Negli Stati democratici conformi alla legge non sorge il demagogo, ma i cittadini migliori hanno una posizione preminente”. (Politica IV, 4).

Conseguenze:

gli elettori votano poco e male;

la politica torna a essere – come teorizzava Lenin – l’arte di prendere e mantenere il potere da parte di un partito o di un leader, e non quella del fare e operare al meglio.

Se quindi conta di più detenere il potere (con la persuasione ossessiva nelle democrazie più malate, con la repressione nei modelli orientali russo e dello stato islamico), la cattiva politica tende a rivolgersi non più ai singoli ma a categorie sociali (giovani, anziani, commercianti, abitanti delle periferie, lobby). Ne deriva l’assioma “tutti i partiti fanno massoneria di massa”, a partire da quelli che si dichiarano da sempre contrari alla massoneria e alle lobby.

I LIBERALI DEVONO SAPERE

“Una testa = un voto” non funziona più. Meglio dire: “Una testa (pensante) = un voto”. C’è una differenza enorme. Come in ogni piega della società oggi, niente idee equivale ad avere successo. Nulla dire = tutto ottenere.

STAGNAZIONE CULTURALE

È come se si fosse diffusa una nuova religione, il cui credo è “fermare il tempo” a ogni costo: con la medicina, con la stagnazione delle idee, con una creatività solo nei prodotti, ma priva di sogni. Combattiamo una battaglia contro il futuro, in nome di un eterno presente da prolungare all’infinito. Il progresso è diventato stagnazione. La musica è ferma agli anni Ottanta del secolo scorso. Le religioni sono diventate ortodossia o integralismo. La politica è un Eterno Ritorno del sempre uguale. Le variazioni del fashion e dei comportamenti nascondono una vita monotona, dove i cambiamenti e gli intrighi sono quelli della serie The White Lotus. L’avventura è diventata – al più – sventura venata di horror, con gli eroi condannati a cercare una via di fuga senza via di fuga, come mosche che sbattono contro i vetri di una finestra chiusa. Il futuro diventerà parte dell’archeologia.

QUEL CHE RESTA DEL PD

Una parte della sinistra non riesce a uscire da una vocazione menscevica, eccetto l’alleanza coi cosacchi di parte bianca. Rimasti ai tempi della Rivoluzione sovietica, sono destinati a fare da eterno hamburger tra una fetta di zar e una di bolscevichi. Ho visto una festa di chiusura della campagna elettorale del Partito Democratico. Davanti il candidato. Dietro di lui i consiglieri con lui candidati, tutti in piedi e quasi sull’attenti. Davanti a loro sedie con persone anziane sedute (familiari in buona parte). Sembrava una riedizione paesana della sfilata putiniana nella Piazza Rossa.


di Paolo Della Sala