mercoledì 17 maggio 2023
Come previsto, il tour europeo del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha fatto molto discutere. Nel nostro caso, la visita a Roma – dove ha incontrato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la premier Giorgia Meloni e Papa Francesco – con tanto di intervista al Vittoriano con le “punte di diamante” del giornalismo nostrano, è stata accolta con entusiasmo da alcuni e con scetticismo da altri. I primi si sono detti onorati di ospitare il leader di una nazione in guerra per difendere i valori occidentali di democrazia e libertà. I secondi hanno invece polemizzato, puntando il dito contro la presunta “arroganza” di Zelensky, il quale ha ribadito a più riprese che la sua gente si sta sacrificando perché non debbano farlo gli italiani, i tedeschi o i francesi. Lasciando intendere, quindi, che questi ultimi avrebbero una sorta di obbligo morale e politico nel dare una mano a Kiev.
Ci può essere arroganza nella verità? Forse, ma comunque di verità si tratta. Le ambizioni neoimperialiste della Russia sono ormai sotto gli occhi di tutti (salvo che non preferiscano, per ideologia, fingere di non vedere). Se il piano non è proprio la rifondazione dell’Unione Sovietica, di sicuro c’è la volontà di riunificare la “Trinità Russa” (quindi di annettere Ucraina e Bielorussia) e di ricostituire una sfera d’influenza nell’Est Europa e nel Caucaso. Questo significa che se la coalizione occidentale non si fosse attivata per assistere economicamente e militarmente l’Ucraina, Mosca non si sarebbe certo fermata a Kiev. Verosimilmente, anche la Moldavia, le Repubbliche Baltiche, la Polonia, l’Ungheria, la Slovacchia e la Repubblica Ceca sarebbero state attaccate. Il che vuol dire che tutti i Paesi Nato sarebbero dovuti entrare in guerra in loro difesa, in uno scontro diretto con Mosca.
In un modo o nell’altro la guerra era inevitabile: meglio combatterla indirettamente, no? Zelensky non dice il falso quando mette in evidenza che è grazie agli ucraini se il resto degli europei e gli stessi americani possono limitarsi al solo invio di qualche missile o di qualche tank; se non devono vivere la guerra in prima persona, ma solo come spettatori. Piaccia o no, le cose stanno così e qualsiasi tentativo di negare questa ricostruzione, oltre a essere mistificatorio, è anche una strizzata d’occhio a Vladimir Putin, del quale alcuni sembrano non aver ancora compreso appieno la pericolosità e l’inquietante somiglianza psicologica e morale ai grandi dittatori del passato. I dittatori, il cui comune denominatore è la megalomania, non si fermano da soli: vanno fermati, come dimostra la storia.
Esiste quindi l’obbligo morale e politico di armare gli ucraini e di supportarli in ogni modo? Si, perché fermare Putin in Ucraina significa evitare altri spargimenti di sangue e una guerra che potrebbe assumere una dimensione ben più vasta di quella in corso. Anche a voler guardare la cosa col freddo cinismo di chi pensa solo al proprio interesse, conviene in primis a noi, nel caso non fosse ancora chiaro.
Al netto dell’odio gratuito che una parte – fortunatamente minoritaria – degli europei riserva a Zelensky – che forse per costoro avrebbe dovuto consegnare le chiavi del palazzo presidenziale di Kiev a Putin e magari bere di buon grado il tè al plutonio, che gli avrebbero servito per ringraziarlo della sua disponibilità – va detto che il presidente ucraino, col suo attivismo e la sua tenacia, ha reso un buon servigio all’Occidente. Gli ha ricordato chi è, lo ha svegliato dal sonno profondo nel quale era sprofondato.
Prima della guerra, l’Occidente stava morendo di inerzia; somigliava a un grosso pachiderma in stato comatoso; sembrava voler definitivamente rinunciare al suo primato morale, civile e militare e lasciare che le autocrazie prosperassero grazie alla sua indifferenza; era un’aquila spiumata e apparentemente non più in grado di spiccare il volo. Anche grazie a questo Putin ha pensato che l’aggressione all’Ucraina avesse potuto sortire gli effetti desiderati: l’Occidente molle e decadente non avrebbe reagito per difendere Kiev, né tanto meno avrebbe avuto la forza morale di rischiare uno scontro aperto con una potenza nucleare per tenere al suo posto un presidente semi-sconosciuto e per garantire l’integrità territoriale e la sovranità di una nazione che nessuna delle potenze occidentali aveva mai considerato rilevante.
Ecco perché gli occidentali dovrebbero ringraziare Zelensky e il popolo ucraino: ci hanno ricordato che essere occidentali vuol dire credere nella libertà, nella democrazia e nella giustizia. Si, anche nella pace, ma in una pace data dall’applicazione del diritto e non dalla remissività dinanzi agli atti arbitrari, all’uso della forza, alla prepotenza di chi fa la voce più grossa. Zelensky ha ricordato all’Occidente che la libertà non è gratuita e non piove dal cielo: la libertà va difesa continuamente dai suoi nemici che, in ogni tempo, in ogni luogo e con ogni mezzo, la minacciano; essere liberi implica essere disposti a fare dei sacrifici, a lottare per continuare a esserlo.
Il fatto che gli ucraini stiano morendo anche per noi è una sorta di “memorare” per i popoli occidentali, che la guerra la vedono solo sugli schermi: adagiarsi sugli allori è un lusso che non possiamo permetterci. Anzi, se fossimo rimasti vigili, se avessimo capito prima che non c’è libertà senza sicurezza globale, se non ci fossimo lasciati confondere da chi predicava il disarmo e i fiori al posto dei cannoni, se avessimo continuato a esercitare il nostro ruolo di garanti dell’ordine internazionale, probabilmente questa guerra non sarebbe mai scoppiata, perché i russi ci avrebbero pensato due volte prima di tentare una simile avventura, consapevoli come sarebbero stati di non poterla spuntare.
Grazie al sacrificio dell’Ucraina – che comunque vincerà la guerra, con buona pace di Putin e dei suoi “amichetti” in questa parte di mondo – l’Occidente si è svegliato ed è tornato a essere una civiltà. Aveva smesso di esserlo? Sì, nel momento in cui aveva perso coscienza di se stessa, della sua identità e del suo ruolo. Ci siamo ricordati che essere occidentali vuol dire amare la libertà, difenderla, stare sempre dalla parte di chi combatte per essa e contro chi esercita la violenza, l’arbitrio e il terrore.
Un’ultima breve considerazione su chi, anche indirettamente, ancora parteggia per la Russia. La maggior parte di loro sono intellettuali impegnati, ma non abbastanza a quanto pare. Se lo fossero, capirebbero che la quasi totalità di loro, in Russia, non potrebbe parlare di pace senza finire in qualche carcere siberiano o senza essere fatto fuori. È grazie a quell’Occidente che tanto disprezzano e grazie al sacrificio di quel presidente, tanto odiato, e del suo indomito popolo che possono parlare liberamente. E che potranno continuare a farlo, per la gioia di tutti coloro che vivono di realtà e non di utopie pacifiste.
di Gabriele Minotti