Alla rai arriva il tandem Sergio-Rossi

lunedì 8 maggio 2023


A Viale Mazzini si cambia. Dopo mesi di accese polemiche, contrasti politici, prese di posizioni da parte dei sindacati dei dipendenti, l’amministratore delegato Carlo Fuortes ha dato le dimissioni. Fuortes lascia l’azienda pubblica con un anno di anticipo rispetto al suo mandato triennale.

La decisione era nell’aria da tempo ed è stata accelerata a fine aprile quando in Commissione di vigilanza il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha accusato il vertice della Rai per la mancata presentazione del piano industriale in Consiglio di amministrazione. Un fatto considerato molto grave perché impediva la sottoscrizione del contratto di servizio tra Stato e azienda radiotelevisiva.

Questa carenza era anche alla base delle motivazioni dello sciopero generale proclamato da tutte le categorie di viale Mazzini entro la fine di maggio. Nei mesi scorsi era stato il presidente dell’Associazione dei produttori audiovisivi Giancarlo Leone (una vita ai massimi livelli nell’azienda) a lanciare l’allarme del nodo dello stallo delle produzioni. Progetti fermi da mesi, palinsesti da presentare. Le due grandi categorie chiamate di utilità ripetuta (fiction, film, sceneggiati) e di utilità immediata (day time, intrattenimento, contenitori tipo la Vita in diretta, Domenica In, Che tempo che fa di Fazio) marcano il passo.

È stato calcolato che il valore complessivo delle produzioni nell’arco dei prossimi 6 mesi riguarda circa 100 milioni di euro. E c’è poi la questione del recupero degli introiti della pubblicità che due anni di pandemia da Covid hanno tagliato abbondantemente mentre resta incerta la questione del canone che non dovrebbe più essere pagato, a partire dall’anno prossimo, nella bolletta dell’Enel.

La gestione Fuortes si trascina anche le conseguenze dell’accusa di pubblicità occulta rivolta agli organizzatori del Festival di Sanremo. In merito alla qualità delle produzioni ultimamente il critico televisivo del Corriere della Sera Aldo Grasso ha messo in evidenza che le reti ammiraglie hanno terminato la loro carica propulsiva e che “ormai molta tv è sconfortante. L’assenza di talento mette in scena solo sbadigli”.

Le sfide della nuova gestione della tivù pubblica sono ardue. Solo per Roma al fine di ridare un nuovo volto al quartier generale di viale Mazzini occorre bonificare gli edifici degli anni Sessanta dall’amianto, riorganizzare gli spazi per i dipendenti (ma i lavori non finiranno prima del 2028) mentre è ancora in alto mare la questione di Saxa Rubra due a Milano, essendo già stato deciso di cambiare e fare a meno dei complessi del glorioso palazzo di corso Sempione e di via Mecenate.

Tagli, dismissioni. Va fatta chiarezza sui progetti. Le dimissioni dell’amministratore Fuortes dovrebbero accelerare un ampio ricambio. Da tempo il tandem in pole position è quello composto da due esperti di televisione. Roberto Sergio, attuale responsabile di Radio Rai, dovrebbe prendere il posto come amministratore delegato mentre come nuovo direttore generale verrebbe nominato Giampaolo Rossi. Quest’ultimo, più che uno stretto amico di Giorgia Meloni, da lungo tempo è considerato un grande conoscitore dell’azienda Rai, essendo stato nel Cda nella gestione Salini.

I test che attendono la Rai sono molto impegnativi. La concorrenza alla tv di Stato si è fatta pressante, le nuove tecnologie, compresa l’intelligenza artificiale, impongono scelte in linea con le esigenze della società digitalizzata. Ci sarà, come è sempre accaduto, un giro di poltrone. I riflettori sono puntati soprattutto sulla direzione del Tg1, ma in ballo ci sono le direzioni di molti settori.


di Sergio Menicucci