La “grande sostituzione”: cronaca di un presunto mito che invece è realtà/2

giovedì 27 aprile 2023


Una società può permettersi una (sebbene limitata) immigrazione solo se sia forte, solo se sia in grado di non creare ghetti culturali e potenziali scontri dentro di essi. Se è pur vero che una cultura può essere assunta anche da stranieri, è vero anche che ciò, non essendo automatico, può avvenire solo su numeri controllati e, lungi dal progetto di sostituire in blocco gli autoctoni, è possibile solo se questi ultimi siano vitali abbastanza da mantenere la propria cultura, trasmettendola a chi arriva.

Posto ciò, bisogna riconoscere che le grandi corporazioni globali, sia tramite le proprie scelte che influenzano la maggior parte della politica internazionale, sia tramite i media di massa di loro proprietà, non solo non sono minimamente interessate alla seconda e vera soluzione, ma anzi propagandano beceramente e unicamente la prima e falsa “soluzione” con ogni mezzo utile, prospettando dunque (senza alcun complotto nascosto, ma alla luce del sole) una sostituzione etnica vera e propria, in nome del cosiddetto meticciato e della mobilità globalizzata.

Piaccia o meno al neosegretario di un certo partito o ai giornalisti che ne coprono le dichiarazioni, pronti a parlare di “teoria” della sostituzione, di “complottismo”, contro un fatto non esiste alcun argomento ed è inutile blaterare di suprematismo solo per ingannare qualche sventurato, poco attrezzato intellettivamente, che cade nella trappola di una retorica che nasconde il nulla mentale e programmatico del politicante segretario.

I fatti sono questi: nel marzo del 2000 l’Onu ha prodotto un documento in cui ha prospettato esplicitamente la “migrazione di sostituzione” (Replacement Migration), vale a dire una immigrazione mirata esattamente a scalzare gli autoctoni, al fine di “risolvere” il problema dell’invecchiamento delle società “avanzate”. Il testo non lascia adito a dubbi, sia nel suo titolo che evoca appunto la sostituzione sia nelle conclusioni: accanto a una serie di riassestamenti sull’età pensionabile e sulle politiche sociali per gli anziani, si dice che siano necessari “politiche e programmi relativi all’immigrazione internazionale, in particolare la migrazione di sostituzione, e l’integrazione di un largo numero di nuovi migranti e dei loro discendenti”.

Il testo, anziché scandalizzare, ha visto perfino commentatori accademici sentenziare in modo indifferente che, per quanto alcune società attuali stiano operando un suicidio mai visto prima, ciò non è né positivo né negativo, perché nella storia sono spesso avvenute sostituzioni etniche, concludendo che i nuovi centri di potere potrebbero in futuro essere (com’è ovvio) nei Paesi più popolosi. Ovvero India e Cina.

Similmente, il Pontefice regnante Francesco, pur nel contesto di un’analisi corretta sul suicidio europeo, senza forse rendersi conto del fatto che l’Impero Romano è imploso esattamente dopo aver ceduto pacificamente i propri territori periferici ai barbari, ha evocato in un’intervista una tale sostituzione in maniera plastica, invocando proprio la cessione – agli immigrati stranieri –di quei territori periferici (come le cittadine minori) che risultino oggi spopolati.

Non si contano poi le prese di posizione di intellettuali ecclesiastici e secolari favorevoli al “meticciato” (dal Cardinale Angelo Scola a Eugenio Scalfari) non inteso come normale possibilità (ma comunque solo eventuale) di incrocio familiare tra razze diverse (matrimonio misto), bensì quale portato strutturale della società futura, quale modello di famiglia mista da perseguire a ogni costo in seno alla cittadinanza, come se la perdita potenziale di diversità culturale nella fusione in un unico calderone globale non fosse un rischio e un problema: la biodiversità è preziosa solo quando si tratta di coltivazioni o specie animali da non fare estinguere; le culture invece possono estinguersi tranquillamente unificandosi in un’unica prospettiva piatta.

Infine, non si dimentichi che l’operazione di persuasione passa anche per vie inconsce, con una sorta di congiura da parte dei pubblicitari che, o per accordo di cartello o per conformismo dettato dalla paura di un giudizio negativo da parte dei censori politicamente corretti, tendono a presentare figurativamente di continuo coppie miste in modo sproporzionato rispetto alla loro effettiva diffusione sociale e, quando accade, le rappresentano in un modo rigidamente preconfezionato: la donna bianca e l’uomo nero, mai il contrario, lasciando intendere implicitamente (e neanche troppo) che l’uomo bianco occidentale non debba riprodursi affatto e che non possa men che mai farlo con una donna nera (a pena di sembrare un pervertito colonialista degli anni Venti del Novecento). Mentre la donna bianca non può che regalarsi allo straniero, anziché perpetuare la genia dei bianchi malvagi che hanno rovinato ogni parte del mondo, inverando ciò di cui parlano diversi autori (da Roger Scruton ad Anton Bruckner, passando per il succitato Erskine Caldwell ed Eugenio Capozzi) che hanno scritto dell’oikofobia, vale a dire dell’odio di sé degli occidentali.

Questi sono i fatti. Chi ha poca dimestichezza con i fatti, non può scomodare in modo illecito il razzismo pur di non affrontarli, avvelenando così ogni riflessione strutturata sul fatto che un certo immaginario collettivo con alle spalle precisi interessi economici e determinate coperture “intellettuali” cerca spasmodicamente di influenzare le persone, per giustificare ai loro occhi una sostituzione degli europei con popoli terzi.

Fino a quando però il tema demografico, anziché divenire condiviso, sarà lasciato all’illegittimità pubblica dei complottisti (veri) e dei razzisti (reali), evocati da certe parti politico-culturali interessate all’odio di sé anche quando a porre la questione sia una persona normale, isolando quest’ultima ed impedendole di esprimerla pubblicamente, tutto continuerà a essere inutile.

(*) Leggi la prima parte


di Filippo Giorgianni