Di Calenda e Renzi, dei “cinesi” in riva al fiume, e noi?

martedì 18 aprile 2023


Confesso che della baruffa tra Carlo Calenda e Matteo Renzi m’importa un fico. Né, tra gli ambienti distanti dalle presunte stanze del potere, sento qualcuno che si straccia le vesti. A Napoli, a commento del tutto, direbbero a sberleffo: “L’acqua è poca e la papera non galleggia”, oppure: “Le sciabole stanno a terra e le fodere combattono”. Poi c’è una espressione, colorita e volgarotta, che ha a che fare con una certa specifica “cosa” pur importante, quando capita in mano a “creature”; da intendere come incapaci, impacciati, inesperti.

Quello che stupisce, ma fino a un certo punto, è assistere a taluni che sprezzando personali e clamorosi fallimenti, indossano l’abito del cinese in riva al fiume, con soddisfazione malcelata osservano e commentano il passaggio del cadavere. Come se in quel fiume, simili a quel cadavere, non passino o siano passati anche loro... 

E tutti, ma tutti davvero, non darsi pensiero per il consolidarsi e il crescere del vero partito maggioritario nel Paese: quelli che a mo’ di Beppe Grillo, ma con educazione e rassegnato silenzio, mandano tutti a quel paese, rinunciano al loro diritto di votare.

È un sacrosanto diritto anche quello, ma quando c’è un 50 per cento di elettori che da dieci anni non riesce a individuare un candidato e un partito ai quali dare una briciola di fiducia, c’è un grosso, enorme, problema.
Per tornare ai due fratelli De Rege della politica d’oggi, m’importa un fico di quello che dicono e fanno Calenda e Renzi. M’importa, mi interrogo, piuttosto su noi, cosa abbiamo o non abbiamo fatto, cosa abbiamo detto o non detto, cosa vogliamo o non vogliamo fare.


di Valter Vecellio