Uno stato da citazione diretta senza messa alla prova

mercoledì 12 aprile 2023


Diverse volte si è affrontato il gravoso problema della giustizia italiana inerente alla mancanza della certezza della pena e quindi del diritto, ma nonostante ciò, il modus agendi del legislatore riformatore reitera questa incertezza, perseguendo degli obiettivi che si discostano progressivamente dal garantire ai cittadini il senso di legalità che ogni Stato di diritto dovrebbe tutelare.

Per quanto l’Italia possa essere deficitaria di strutture carcerarie e del personale giudiziario (magistrati e ausiliari), non si può accettare alcuna giustificazione per questa deriva anomica della giustizia italiana.
Neanche il subdolo tentativo di far derivare certe riforme dall’ambizione di declinare concretamente il principio della “rieducazione” sociale del condannato, sancito nell’articolo 27, comma 3, della nostra Carta costituzionale, può avallare i veri motivi suddetti di una certa tendenza a diminuire il numero delle fattispecie criminose meritevoli della pena detentiva, arrivando all’orripilante risultato di estendere il novero di quei reati per cui i colpevoli possono fruire della sospensione del processo, fino al punto di raggiungere l’estinzione del reato stesso.

Detto ciò, per entrare nel merito di quanto affermato dal sottoscritto, con l’articolo 1, comma 9, della legge delega si è esteso in modo significativo il catalogo dei reati rientranti nella competenza del giudice monocratico per i quali è prevista la citazione diretta. In particolare, i reati succitati sono quelli puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo ai 6 anni, anche se congiunta alla pena della multa. Dunque, per determinare i reati a citazione diretta si è fatto riferimento a due criteri, uno edittale e l’altro alquanto generico, che hanno novellato l’articolo 550 del Codice di Procedura penale con l’inserimento di fattispecie che non richiedono indagini complesse, in riferimento alla modalità con cui vengono commessi gli illeciti previsti.

Inoltre, nel nuovo comma 2 dell’articolo 550 del Codice di Procedura penale sono stati inseriti i reati previsti dagli articoli 336, 337 e 337bis, come la violenza e resistenza a pubblico ufficiale, occultamento, custodia o alterazione di mezzi di trasporto. Sempre nel catalogo dei reati a citazione diretta sono stati aggiunti l’interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità aggravato, il delitto di esercizio abusivo della professione aggravato, la violazione della pubblica custodia di cose e l’oltraggio a magistrato in udienza aggravato.

Nel ventaglio dei reati a citazione diretta sono stati inseriti anche quelli commessi in pubblico o dinanzi a una pluralità di testimoni, come l’apologia di delitto, l’istigazione a disobbedire alla legge, gli atti osceni in luogo pubblico aggravati, la bigamia e il danneggiamento di cose mobili o immobili in occasione di manifestazioni sportive. Ai suindicati reati finora citati vanno aggiunti la falsa testimonianza, le false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, l’induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria, la procurata inosservanza di pena, l’evasione aggravata (salvo alcune fattispecie), i delitti di falsità in monete, la contraffazione di pubblici sigilli, l’indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti.

Secondo quanto ho esposto finora emerge in modo palese l’estensione dei reati a citazione diretta, ma essa, sorprendentemente, non finisce. Infatti, sono stati aggiunti altri reati, di intensa gravità, il cui inserimento nel catalogo a citazione diretta non può non destare una certa allarmante preoccupazione, tipo la violazione di domicilio aggravata, la rissa (salvo in caso di morte o lesioni gravi o gravissime), il reato di lesioni colpose stradali gravi o gravissime, la violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, la violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale e dulcis in fundo, nondimeno, il furto aggravato (salvo il furto in abitazione o con strappo), il danneggiamento aggravato e la truffa aggravata.

La lista prosegue con l’inserimento di altri reati, quali il fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona, l’appropriazione indebita, la ricettazione, le false attestazioni o certificazioni del lavoratore dipendente nelle amministrazioni pubbliche, l’omessa dichiarazione dei redditi Iva, il delitto di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, la fattispecie in materia di armi senza licenza e detenzione di armi clandestine, il delitto di istigazione pubblica, proselitismo e induzione all’utilizzo di stupefacenti. L’aspetto più sconcertante della Riforma Cartabia del processo penale risiede anche e soprattutto nell’inserimento tra i reati a citazione diretta dei delitti previsti dal Codice Antimafia e dei delitti in materia di immigrazione. Se il danno della riforma si fosse limitato solo a questo allargamento delle fattispecie criminose rientranti nella citazione diretta, per quanto a mio parere già grave, si sarebbe comunque potuto conservare un minimo di ottimismo per non veder svanire definitivamente la certezza del diritto e della pena, ma, ahimè, secondo quanto già previsto dalla legge, la sopraesposta estensione del catalogo dei reati di cui all’articolo 550, comma 2, del Codice di Procedura penale, non lascia alcuna speranza al riguardo, incidendo sul sistema di applicazione dell’istituto di diritto sostanziale della sospensione del processo con messa alla prova.

A tale riguardo, l’espresso richiamo all’articolo 168bis del Codice penale per i procedimenti riguardanti i reati previsti nel novellato articolo 550 del Codice di Procedura penale, determina l’ampliamento della lista dei delitti per i quali può essere richiesta la sospensione del processo con messa alla prova, che, attenzione, non determina l’applicazione di una pena alternativa, ma consente proprio l’estinzione del reato, dopo un ineccepibile percorso di recupero tramite la prestazione di lavori di pubblica utilità (comprensivo dell’eventuale risarcimento alla persona offesa) e quindi la conseguente assenza della citazione del reato commesso nel casellario giudiziale del reo, una volta che egli ha compiuto in modo consono la “prova” per lui prevista. Al postutto, il cittadino si troverà a vivere in uno Stato in cui l’incertezza del diritto e della pena sarà sostituita dalla definitiva certezza dell’ingiustizia.

“Abusus non est usus sed corruptela”


di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno