martedì 21 marzo 2023
Sono rari, anzi rarissimi, i momenti di alta politica, quelli cioè in cui la politica si eleva rispetto alle ordinarie contrapposizioni e scrive momenti di storia. Un momento di alta politica fu certamente quello rappresentato dal discorso pronunciato dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi alla Conferenza di pace di Parigi nel 1946, il cui incipit è riportato nei volumi di storia: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me, e soprattutto la mia qualifica di ex nemico che mi fa considerare come imputato...”. Un altro momento di alta politica fu l’omaggio del segretario nazionale del Msi Giorgio Almirante al feretro di Enrico Berlinguer, nella sede del Pci in via delle Botteghe Oscure: un gesto accolto con rispetto dai militanti comunisti, tanto che quattro anni più tardi fu il leader comunista Giancarlo Pajetta a rendere omaggio alla salma di Almirante. Momenti rari, si diceva, in cui la politica si erge a modello e manifesta la sua bellezza. Mentre ci eravamo ormai rassegnati a una politica modesta e alimentata da polemicucce, ecco arrivare la sorpresa: la presenza e il discorso della presidente del Consiglio Giorgia Meloni al Congresso della Cgil possono a pieno titolo essere considerati come un momento di alta politica. Ha fatto bene il segretario della Cgil Maurizio Landini a invitare Meloni, così come ha fatto bene la premier ad accettare l’invito. Nessuno sconto o concessione è rinvenibile nei loro rispettivi discorsi: niente è stato detto da Meloni per cercarne un consenso impossibile da ottenere in quel contesto, così come nessuna critica è stata risparmiata da Ladini alla politica del governo. Divisi e diversi su quasi tutto, eppure l’impressione è stata quella di due “avversari”, non di due “nemici”.
Stupisce, semmai, che da 27 anni nessun presidente del Consiglio avesse partecipato al congresso del maggiore sindacato italiano e che ci sia voluto l’intervento del presidente del Consiglio “idealmente più lontano dalla platea”, come si è definita Meloni, per colmare questo vuoto. Gli orientamenti della maggioranza che sostiene il governo e quelli della Cgil sono lontanissimi fra loro, ma è impossibile pensare che l’esecutivo e il sindacato di milioni di iscritti possano rinunciare a un confronto, che sarà sicuramente serrato e difficile ma purtuttavia necessario. Certo, una minoranza del sindacato era contraria all’invito, ma anche la contrarietà è stata contenuta entro forme di civile dissenso, come il canto di Bella ciao, al quale Meloni ha assistito con un lieve corrugamento della fronte e che comunque è stato interrotto appena la premier ha preso la parola. Non ci sono stati i fischi, che secondo alcune ricostruzioni avrebbero portato a disdire la partecipazione all’evento. Anzi, Meloni ha voluto ricordare che sono almeno trent’anni che qualcuno la fischia, ritenendosi “cavaliere al merito” di questo genere di contestazioni.
Anche le differenze di linguaggio hanno fatto la loro parte, facendo emergere un’idea opposta di società: Meloni ha richiamato concetti come “crescita economica”, “creazione di ricchezza”, “sistema produttivo” e “tassa piatta”, mentre Landini si è mantenuto sui collaudati richiami ai concetti di “mobilitazione”, “giustizia sociale”, “profitto”, “sfruttamento”. In questo incontro fra estremi, necessitato dai rispettivi ruoli, si è scritta una bella pagina di politica. Alla fine, Meloni è riuscita addirittura a strappare ai delegati anche due brevi applausi, niente affatto scontati, che richiamano alla mente quelli di “personale cortesia” riservati a De Gasperi nel 1946.
di Andrea Cantadori