mercoledì 15 marzo 2023
Non c’è dubbio che il convegno, svoltosi a Roma il 23 febbraio, voluto da Massimo Barra, fondatore di Villa Maraini-Cri, prestigiosa istituzione che da oltre 20 anni si occupa di salvare vite umane piagate dalla droga, in collaborazione con Cesp, il Centro Europeo Studi Penitenziari; Aiga, l’Associazione Italiana Giovani Avvocati; Fidu, Federazione Italiana per i Diritti Umani, dal titolo “La dipendenza patologica da sostanze, tra misure restrittive e strategie di recupero”, ha avuto la sua giusta risonanza presso i piani alti del Ministero della Giustizia. Forse e non a caso, perché alla convention ha portato il suo saluto, spendendo parole particolarmente interessate alla individuazione di possibili soluzioni riguardanti il problema della droga e della carcerazione, il senatore Francesco Paolo Sisto. In quella occasione il viceministro della Giustizia, nell’augurare buon lavoro ai convegnisti, tra le altre cose ha assicurato la disponibilità e l’interesse ad approfondire in futuro la tematica della giornata, sottolineando la necessità di promuovere più rapide soluzioni intorno ai problemi riguardanti il diritto alla salute da un lato che impropriamente si collega purtroppo al sovraffollamento carcerario.
Dal dibattito, al quale hanno partecipato oltre ai rappresentanti delle diverse associazioni, anche coloro che sono stati direttamente salvati dalla droga ritrovando presso Villa Maraini-Cri il senso della loro vita, è emerso chiaramente che il carcere non è mai stato e non può essere la risposta alle patologie e alle dipendenze da sostanze. I dati parlano chiaro: negli Stati Uniti muoiono circa 90mila persone all’anno per overdose; in Europa la relazione 2022 dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze comunica che si sono verificati oltre 5.800 decessi per uso di sostanze illecite nel solo anno 2020. In Italia, il Dipartimento per le Politiche antidroga nella relazione annuale 2021 indica 293 decessi per droga, evidenziando un trend negativo dovuto alla fase pandemica. Questa epidemia di morti ha fatto emergere, in maniera definitiva, il fallimento della cosiddetta politica della “guerra alla droga”, che ha generato morti e sovraffollamento delle carceri. Proprio dagli Usa, ha sottolineato il dottor Massimo Barra, giungono nuove strategie come la “deflection” e la “diversion” che permettono, invece, il trattamento terapeutico del soggetto, al di fuori dell’ambiente carcerario, affidandolo direttamente a strutture di cura, prima di tradurlo in carcere, oppure trasferendolo presso di esse se già rinchiuso.
Quello che stato raggiunto nel convegno, è basato in sintesi sulla chiara consapevolezza su obiettivi fattibili e precisi: dare al tossicodipendente il diritto alla cura ed al recupero sociale, tutelando al contempo il bene pubblico e la società civile da rischi collegati alla patologia; avviare un complesso di azioni e strutture sul territorio perché le persone afflitte dalla patologia non commettano o reiterino reati contro il patrimonio e le persone, per alimentare la loro dipendenza; aiutare le istituzioni a gestire in modo efficace l’esecuzione della pena, con percorsi alternativi che riducano la recidiva e recuperino il soggetto detenuto; sviluppare forme di collaborazione tra istituzioni, che permettano di attuare nuove strategie volte alla riduzione del fenomeno nel futuro.
Il dibattito ha certamente suscitato un attento proposito di riflessione riguardante anche la non secondaria dimensione giurisprudenziale strettamente connessa all’esecuzione penale e alla questione relativa allo spazio, alle speciali caratteristiche degli ambienti destinati all’eventuale separazione, quando ve ne sia il bisogno, visto che la sua finalità sarebbe quella del recupero dell’individuo. Più si riflette, più si riscontrano i positivi risultati di queste metodologie e più ci si convince della necessità di una più complessa riflessione scientifica e di collaborazione allargata concernente anche l’approfondimento della giustizia e dell’esecuzione penale nelle loro diverse modalità applicative nel rispetto dei diritti umani, della salute e della sicurezza sociale.
Il futuro di questo vasto panorama di studio dovrà necessariamente essere sostenuto dal supporto sistemico di più discipline professionali e organizzative, riguardanti anche l’ambiente di accoglienza, l’assistenza e il controllo. Tutte queste possono (debbono) suggerire soluzioni più idonee alle istituzioni riguardanti le comunità confinate e la deflection in particolare. Una più meditata consapevolezza circa il delicato rapporto relativo alla tipologia da un lato e alla differenziata gradualità ok del confinamento, riguardante la separazione e i gradi di filtrabilità sociale, reclama necessariamente il contributo dei più aggiornati strumenti di comprensione e quindi di scelte, culturali e politiche.
(*) Vicepresidente del CESP
di Domenico Alessandro De Rossi (*)