Meloni difende il decreto legge: “Il superbonus costava 2mila euro a testa”

lunedì 20 febbraio 2023


Giorgia Meloni spiega la decisione sul Superbonus: “Se lo lasciassimo così com’è, non avremmo i soldi per fare la finanziaria”. Dopo l’influenza, la premier affronta la questione nella rubrica social Gli appunti di Giorgia. L’obiettivo è difendere l’intervento del governo sui bonus edilizi, che negli ultimi giorni ha mandato in subbuglio il mondo dell’edilizia, creando anche significative fibrillazioni nel centrodestra. Tensioni per ora contenute dall’intervento di Silvio Berlusconi, che ha definito “giustificato e forse inevitabile il percorso del governo per evitare danni al bilancio dello Stato, che potrebbero addirittura portarci ad una situazione di default”.

Pur aggiungendo che “il Parlamento sovrano discuterà il decreto, e, nei tempi richiesti, ove lo ritenesse opportuno, potrà apportare utili modifiche”.

Cambiamenti sono “indispensabili”, in Forza Italia lo dicono chiaro e tondo: gli azzurri hanno anche chiesto l’apertura di un tavolo di maggioranza prima che il decreto legge, varato all’unanimità giovedì dal Consiglio dei ministri, inizi l’iter di esame parlamentare in commissione alla Camera. L’ipotesi, è il ragionamento che si fa in FdI, sarà approfondita dopo il confronto in programma oggi a Palazzo Chigi fra il governo e le parti interessate. A nessuno conviene uno scontro interno come sulle accise. “Vogliamo spingere – ha chiarito Meloni – le banche e tutti gli attori che possiamo coinvolgere ad assorbire i crediti che sono incagliati, che nessuno vuole prendere. E abbiamo definito meglio la responsabilità di chi deve prendere quel credito”. Negli incontri con l’Associazione delle banche, Cdp, Sace e le varie categorie del mondo dell’edilizia saranno probabilmente messe sul tavolo due strade, la cartolarizzazione o le compensazioni tramite i modelli F24 presentati in banca. La prima, al momento, sembra più complicata della seconda.

Con alle spalle lo sfondo domestico di un salotto, e indosso un informale maglione blu Tiffany, dopo aver annullato per la febbre tutti gli impegni settimanali, Meloni intanto ha riaperto il quaderno degli appunti partendo dal successo alle Regionali in Lazio e Lombardia. “Un segnale sul consenso attorno al lavoro del governo”, ha sottolineato senza sorvolare sull’astensionismo: “Ogni cittadino che decide di non partecipare al voto è una sconfitta per la politica”. C’è chi collega questo trend a una politica che dà sempre meno certezze, anche sul fronte del Superbonus, modificato almeno una dozzina di volte negli ultimi anni. Nel suo monologo social, per la premier era fondamentale spiegare all’opinione pubblica che la nuova stretta sulla cessione dei crediti, “che attualmente hanno un costo totale di 105 miliardi”, era necessaria “per sanare una situazione fuori controllo” e non certo per danneggiare imprese e cittadini. Perché il sistema era “scritto male”, concetto su cui insisteva anche Mario Draghi. Meloni ha puntato su alcuni numeri per rendere l’idea: “Il Superbonus è costato a ogni singolo italiano circa 2mila euro, anche a un neonato o a chi una casa non ce l’ha. Non era gratuito, il debitore è il contribuente italiano”.

A inizio febbraio in audizione in commissione, il direttore generale delle Finanze del Mef, Giovanni Spalletta, aveva indicato in 110 miliardi il costo dei bonus, 37,7 miliardi più delle previsioni. Stima che salirebbe a 120 miliardi con gli ultimi dati. Da qui il costo medio pro-capite citato da Meloni, che attacca pure sulle “moltissime truffe, per circa 9 miliardi di euro”. In questo contesto, la premier ha sottolineato che “il Superbonus continua a generare 3 miliardi di crediti al mese: se lo lasciassimo fino a fine anno, non avremmo i soldi per fare la finanziaria. Altro che taglio del cuneo fiscale, scordiamoci tutto”.

Queste sono le basi su cui Meloni e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, hanno puntato sul decreto per vietare il ricorso alla cessione dei crediti o allo sconto in fattura per i nuovi interventi e bloccare l’acquisto da parte degli enti pubblici dei crediti incagliati. Ora, per “mettere tutto su un binario sensato ed evitare il tracollo delle aziende” si apre il confronto con le parti: Palazzo Chigi e Mef, è la linea, vaglieranno tutte le proposte. Per il leghista Alberto Bagnai l’obiettivo è “una copertura all’acquisto dei crediti delle famiglie e delle imprese, consentendo il completamento dei lavori avviati. È presto per dire con quale strumento specifico”.

La volontà del governo è quella di sciogliere il nodo dei crediti incagliati dei bonus immobiliari, coinvolgendo tutti i soggetti interessati. Le ipotesi sul tappeto – la cartolarizzazione o le compensazioni tramite i modelli F24 presentati in banca – sono al momento solo richieste avanzate dalle diverse parti. I tavoli avviati a Palazzo Chigi serviranno proprio per ascoltare le esigenze dei diversi attori in campo e per valutarne le proposte. Poi le scelte saranno fatte guardando ai costi e alle eventuali decisioni di Eurostat sui conti pubblici. Con modifiche che potranno arrivare solo durante il confronto parlamentare sul decreto Superbonus. Il calcio d’inizio sulle possibili modifiche sarà rappresentato dagli incontri. Ci saranno le categorie imprenditoriali interessate ma prima si siederanno nella Sala Verde i soggetti finanziari coinvolti: l’Abi, in rappresentanza del sistema bancario; Cdp, come braccio operativo economico ma anche per il suo ruolo di controllo di Poste; Sace, che ha già svolto un importante ruolo di ‘garanzia’ sui prestiti erogati per dare ‘ossigeno’ alle imprese durante la fase dei lockdown.

L’ipotesi F24, invece, è quella avanzata congiuntamente dall’Abi e dai costruttori dell’Ance, che hanno anche chiesto al governo di sollecitare l’acquisto di crediti da società pubbliche controllate dallo Stato. Cosa prevede l’ipotesi F24: in pratica le banche, che non possono più acquistare nuovi crediti perché hanno esaurito lo spazio di “smaltimento fiscale” nei prossimi anni, potrebbero scaricare i debiti compensandoli con gli importi dei pagamenti fiscali fatti dai clienti con i modelli F24 ai propri sportelli. Ovviamente, questo avrebbe un costo immediato per lo Stato: peserà per questo il confronto aperto con Eurostat su come contabilizzare le spese relative al Superbonus e agli altri bonus immobiliari. L’ufficialità arriverà ad inizio marzo, ma se l’ammontare in gioco fino ad oggi (il governo ha parlato di 105 miliardi) si scarica sul deficit del 2021 e 2022, per l’anno in corso si potrebbe aprire uno spazio finanziario senza penalizzare altri interventi pubblici che pesano sul deficit. Dal 2023 l’ufficio di statistica europeo potrebbe infatti chiedere di contabilizzare gli importi direttamente sul debito pubblico. In questo caso, i 15 miliardi di crediti incagliati avrebbero un impatto meno traumatico visto che la montagna del debito pubblico italiano tocca già i 2.700 miliardi.

C’è l’esigenza immediata di sciogliere velocemente il nodo dei crediti ceduti ora incagliati, perché l’assenza di liquidità mette in crisi le aziende costruttrici e potrebbe ripercuotersi anche sull’attuazione del Pnrr. Ma poi è necessario lavorare ad una misura strutturale, che favorisca i lavori, che sia sostenibile per i conti dello Stato e non sia sottoposta ai cambiamenti continui. Cambiamenti che hanno creato incertezze e contenziosi ma, soprattutto, hanno un impatto sulla credibilità: “La fiducia nello Stato viene meno se si fanno le regole e poi le si cambia continuamente”. La presidente dei costruttori dell’Ance, Federica Brancaccio, fa il punto con l’Ansa in vista dell’incontro tra categorie e governo a Palazzo Chigi. “Stimiamo crediti incagliati legati ai bonus immobiliari per circa 15 miliardi – afferma – La cartolarizzazione? Se c’è una soluzione va bene, ma basta che sia rapida e non di mesi”. La proposta dei costruttori Ance e dell’Abi prevede invece la possibilità per le banche di utilizzare i versamenti degli F24 dei clienti per compensare i crediti ora incagliati, ed anche un maggior impegno delle società controllate pubbliche nel loro acquisto. “Abbiamo letto positivamente il fatto che prima di incontrarci ci sarà un tavolo con l’Abi, Sace e Cdp – afferma la presidente dei costruttori – Non so cosa si ipotizza. Ma sono soggetti importanti da coinvolgere”. L’esigenza immediata è proprio la crisi di liquidità “che rischia di far fallire migliaia di imprese e di far saltare la grande opportunità rappresentata dal Pnrr”, un tema sul quale pesa anche il maggior costo dei materiali che beneficia di un aiuto che per meccanismi burocratici non riesce ad arrivare alle imprese se non in misura minima.

Il decreto che blocca la cessione dei crediti e lo sconto in fattura ha, però, anche altri effetti negativi. Quello di rappresentare un ultimo cambiamento su un provvedimento che ha registrato una modifica ogni 45 giorni. “Hanno bloccato tutto senza risolvere il passato e senza vedere un futuro – critica Federica Brancaccio – Lavoriamo invece ad una misura di lungo periodo, strutturale, senza cambiamenti in corso, che sia sostenibile per lo Stato e favorisca la transizione che tutti chiedono. Usando fondi europei”. Le ultime decisioni sono arrivate come una tagliola su un contesto nel quale non solo ci sono risorse incagliate. Ci sono – spiega la presidente dei costruttori – “moltissimi contenzioni tra condomini, professionisti, imprese, cittadini: ricevo messaggi di cittadini disperati e di imprese che hanno preso impegni e che ora non sanno come fare”. Questo “mina la fiducia tra Stato e cittadini, con un costo sociale altissimo: l’abbiamo visto anche con la partecipazione alle ultime elezioni, e ha anche un risvolto economico, negli investimenti. Se non ci si fida tutto si ferma”.

L’edilizia, invece, è un settore in grado di trainare l’economia e di portare innovazione. “Ci siamo dimenticati che il Superbonus è nato in un momento straordinario, quando l’economia si era fermata per il Covid – ricorda Brancaccio – Una misura straordinaria che, utilizzando un settore che ha da sempre un impatto anticiclico, ha portato risultati. L’economia del 2021-22 non si è fermata”. Il contributo al Pil “è notevolissimo” ma anche gli importi impegnati “abbiamo calcolato che per il 45 per cento rientrano il primo anno nelle casse dello Stato”.

C’è stato, infine, il problema delle truffe. Ma “hanno riguardato altri bonus, come quello sulle ‘facciate’, che non aveva molti controlli”. Inoltre l’Ance ha visto nel settore la nascita di 12mila imprese dal giorno alla notte: “Abbiamo chiesto che ai bonus potessero accedere solo quelle certificate”. E alla fine c’è stato anche un effetto paradosso: “Le società più sane sono partite dopo, hanno atteso i chiarimenti e sono rimaste intrappolate nella cessione dei crediti che le banche non riescono ad assorbire”.


di Redazione