Transfobia, J.K. Rowling e psicosi collettiva

venerdì 17 febbraio 2023


Ieri, giovedì 16 febbraio, la Spagna ha votato la già famosa legge definita “trans”: sostanzialmente le persone maggiori di 16 anni potranno cambiare il proprio genere di riferimento con una semplice autodichiarazione sottoscritta due volte a distanza di pochi mesi. Non servirà il consenso dei genitori, meno che mai colloqui con medici e/o psicologi.

Chiunque osi porsi qualche dubbio in merito a questa “decisione storica”, viene immediatamente accusato di transfobia. Se poi a muovere critiche sono donne (intendendo persone nate biologicamente di sesso femminile), l’accusa è di essere una Terf: ovvero “Trans Exclusionary Radical Feminist”, che tradotto vuol dire una femminista radicale trans escludente.

Basti pensare alla campagna d’odio che ha travolto la scrittrice J.K. Rowling, da ormai diversi anni (e che continua ad andare avanti: vedi l’uscita del videogioco sul mondo di Harry Potter, Hogwarts Legacy, vittima di boicottaggio da parte dei gruppi “evviva l’inclusività”). Tutto perché ha espresso una opinione differente da quella del mainstream “woke”. Eppure, le voci “dissidenti” sono molte più di quelle che si vorrebbe far credere, ma vengono sistematicamente silenziate. O, nei peggiori dei casi, vengono epurate (vi ricordate l’insegnante universitaria costretta a dimettersi perché ha osato ribadire l’esistenza delle sesso biologico?).

Allora forse bisognerebbe evitare di cadere nella psicosi collettiva da tifoseria da stadio.

Ribadiamo ciò che dovrebbe essere ovvio: qualsiasi essere umano dovrebbe avere il diritto di vivere la propria natura come meglio crede, fermo restando il rispetto per gli altri. Questo vale per eterosessuali, omosessuali, transessuali, cisgender e tutte le altre etichette tanto in voga oggi che non sono citate (non per mancanza di considerazione, ma perché si perderebbe il nocciolo del discorso). Se questo diritto è valido, e se – come viene ripetuto in continuazione – ogni essere umano è unico, allora la diversità di opinione dovrebbe essere un valore aggiunto. È proprio questo il paradosso di un certo tipo di inclusività: coinvolge solamente chi la pensa esattamente nella stessa maniera. Alla faccia della libertà di pensiero e della differenza come valore!

Poi ci sono alcune considerazioni scientifiche che vengono puntualmente ignorate. La prima e più banale è che l’adolescenza è di per sé una fase di passaggio: per questo in tutti i paesi del mondo sono stati fissati dei limiti di età che segnano il passaggio da persona minorenne a maggiorenne. Perché non posso prendere la patente o bere un bicchiere di vino se sono sufficientemente maturo per decidere in maniera definitiva su un aspetto tanto fondante dell’identità umana come la sfera sessuale e l’autopercezione di genere?

La seconda è che negli ultimi anni la scienza ha esaltato come successo la nascita della medicina di genere. La biologia, come la genetica, non è acqua. Ogni corpo, a prescindere da come lo si percepisce o autopercepisce, è soggetto a delle influenze potentissime chiamate ormoni (e non solo). I corpi biologicamente femminili funzionano in maniera diversa da quelli maschili: cambiano addirittura le connessioni neuronali e quindi lo stesso funzionamento del cervello.

Terza considerazione antropologica: le persone transessuali sono sempre state identificate come “terzo sesso”. Ora, non meriterebbero anche loro una medicina di genere dedicata? È discriminante? Ma come, non è stato un passo avanti iniziare trials medici che coinvolgessero anche le donne (cosa che ha consentito da una parte di scoprire le differenze di cure migliori a seconda del sesso biologico di appartenenza e dall’altra, di conseguenza, di eliminare alcune discriminazioni nei confronti di quelle che venivano considerate minoranze)?

Quarta considerazione: gli stessi medici e psicologi stanno iniziando a scoperchiare il vaso di Pandora portando alla luce come si stia giocando con la vita degli adolescenti.

Allora, per tornare allo spunto di partenza della legge spagnola, forse sarebbe il caso di porsi un’unica domanda: perché non accompagniamo gli adolescenti nel loro percorso di autoaccettazione insegnando loro l’inutilità di appiccicarsi etichette addosso sulle quali potrebbero, in futuro, cambiare idea?

Non si tratta di non accettare la transessualità. Non si tratta di discriminare. Si tratta di tutelare ragazzi/e minorenni che devono ancora raggiungere la propria maturità individuale. L’accettazione di sé passa anche attraverso quel lungo lavoro di accettazione delle differenze che esistono con il resto del mondo.

Il rispetto non si può mettere in discussione in linea di principio, ma ci si deve sempre chiedere se la maniera di applicarlo sia davvero la migliore possibile.

I genitori di persone transgender sono i primi che, accettando totalmente la natura dei propri figli/e, sono preoccupati di come tutelarli e proteggerli: questo è davvero motivo sufficientemente valido per silenziarli? Che facciamo allora, aboliamo la responsabilità genitoriale?

Tutti soli, spaesati e infelici. Ma con unetichetta pronta ad essere appiccicata addosso.


di Claudia Diaconale