Politica agricola europea? Preservare proprietà, libertà e civiltà

mercoledì 15 febbraio 2023


Il 1° gennaio 2023 è entrata in vigore la programmazione della Politica agricola comune (Pac), ci sono voluti due anni di confronto e negoziati tra Commissione europea, Stati membri e Regioni e così il 2 dicembre 2022 il piano strategico della Pac dell’Italia, del valore di 37 miliardi di euro, ha avuto il via libera dalla Commissione europea. Quello che desta preoccupazione però è il fatto che enormi somme sono destinate per obiettivi “climatici e ambientali” ed agli “ecoschemi”, invece che alla tutela dell’agricoltura tradizionale, il tutto senza tenere in considerazione l’esperienza e la capacità produttiva dei nostri contadini che, nonostante come scrive il filosofo francese Jean Hani fanno il “mestiere di Dio”, si vedranno calare sulla testa una misura dirigista che mina il loro modo di fare quantità e qualità. E con loro i consumatori saranno costretti a modificare i propri gusti alimentari, perché molto probabilmente ci sarà un aumento dei prezzi dei prodotti della nostra enogastronomia a causa di una generale riduzione della produzione e di un aggravio economico a carico degli agricoltori dovuto agli incrementi dei costi vivi, come i fertilizzanti e il carburante, già adesso molto elevati. Secondo però alcuni “scienziati” si potrà compensare tutto con vomitevoli farine di insetti o con qualche altro rivoltante alimento “green” di sintesi o estratto da non si sa nemmeno da cosa, in nome della gnostica ideologia “verdista” che pretende di salvare l’intero pianeta dal genere umano. Quello che purtroppo ha indebolito l’agricoltura è stata la politica interventista da un lato e disincentivante dall’altra messa in atto dall’Unione europea e dagli Stati nazionali.

Nel tempo si è deciso di offrire contributi a fondo perduto per qualsiasi cosa purché si abbandonasse l’onestà attività del contadino: da quelli per la non semina del grano che ci hanno resi però dipendenti da paesi come il Canada, la Russia e l’Ucraina, a quelli per l’espianto di vigneti che hanno favorito l’industria del vino francese, a quelli contro l’allevamento delle razze autoctone a vantaggio della carne che arriva dalla lontana Argentina; per non parlare di tutto quello che è stato messo in opera per sdoganare olio di oliva non comunitario a basso costo che ha conseguentemente deprezzato quello extravergine italiano. E gli esempi sarebbero tanti in questo triste racconto ma l’oggetto oggi si sposta sul fatto che la pervasività dell’intervento pubblico rende difficile oramai pensare di tornare indietro sulla politica degli aiuti finalizzati ad obiettivi che non sono economici ma solamente politici. Ancora una volta il grande “Stato” ha prevalso sui singoli e ha deciso persino che tipo di lavorazione sarà ammessa per la coltivazione degli ulivi.

Verrebbe da ridere, se non fosse tragico, a pensare i burocrati di Bruxelles e quelli italiani indaffarati nel capire se “permettere” l’aratura con tiller a molle o a dischi: loro che notoriamente non passano intere giornate sotto il sole cocente o pioggia battente nei campi. Sarebbe ilare immaginarli, se non fosse mesto, a imporre “inerbimenti” tra gli alberi senza preoccuparsi dei rischi di incendi nel periodo estivo, contro cui ogni estate lottano i diretti proprietari dei fondi. Sarebbe poi ameno, se non fosse rovinoso, osservarli corrucciati dietro una scrivania mentre determinano e obbligano dall’alto all’incolpevole fattore come risolvere il problema dei residui organici di lavorazione. Purtroppo questa è la presunzione fatale della politica statalista e dell’economia pianificata da cui non riusciamo a liberarci: la convinzione di essere in grado di sapere cosa è meglio e cosa è peggio per gli altri. E questo atteggiamento ci avvia verso valutazioni errate e riduzioni significative di produzione con conseguenti carestie, ovviamente “green”. Tutto per salvare la natura, che leopardianamente, della presenza umana non si avvede e non si cura. E chi ci rimette sono i consumatori e i produttori, schiacciati da un ingranaggio da cui non possono proteggersi se non nel mercato e con la possibilità di scegliere liberamente cosa acquistare e cosa lasciare negli scaffali.

Infine sulle decisioni in tema di Pac avallate dai governi Conte e Draghi è ovvio che le responsabilità vanno equamente distribuite alle forze parlamentari che li sostenevano, ma adesso c’è un governo a trazione conservatrice e quindi sarebbe immaginabile aspettarsi un intervento deciso da parte del Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste per tutelare i residui elementi di libertà che all’imprenditore agricolo rimangono, a cominciare dalla sua proprietà, perché come insegnava Marcel Jousse, l’ideatore dell’Antropologia del gesto e della memoria, nelle sue lezioni alla Sorbona “il contadino è perennemente sollevato e inabissato, e quindi scolpito e modellato e metamorfosato ritmicamente, totalmente e globalmente da tutte quelle onde cosali che si infrangono non solo intorno a lui, sopra di lui e sotto di lui, ma in lui. È il contadino che troviamo all’alba di tutte le civiltà e sul quale dovremo contare per creare la civiltà di domani”.


di Antonino Sala