Il monarca pop e il suo giullare

venerdì 10 febbraio 2023


La “più bella Costituzione del mondo” è stata utilizzata come un testo teatrale per la soddisfazione del nostro monarca di fatto. I protagonisti, non cantanti, dell’esordio della competizione canora della canzone italiana, sono stati il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e l’attore comico Roberto Benigni. Faccio fatica a comprendere la motivazione dell’inquilino del Colle più alto a partecipare alla kermesse canora. Il consigliere per la stampa e la comunicazione della Presidenza della Repubblica, il giornalista Giovanni Grasso, ha spiegato ai giornalisti che “quest’anno il presidente ha iniziato a partecipare ad alcune iniziative per i 75 anni della Costituzione, come nel Giorno della Memoria. Sembrava giusto, dato che la Costituzione parla di promozione della cultura, rendere omaggio anche alla cultura popolare e questo è il festival della cultura popolare”. Per quanto riguarda l’idolo della sinistra al caviale, che è stato il mattatore della serata, le ragioni sono più chiare: il ricco compenso. Il suo cachet, da improvvisato costituzionalista, è un segreto di Stato. Nessuno sa quanto sia stato il suo compenso, tanto paga Pantalone. La Rai gode di un enorme vantaggio competitivo rispetto agli altri editori televisivi privati: riscuote oltre 1,7 miliardi di euro derivanti da quello che è definito canone, ma che in realtà è una tassa che colpisce i contribuenti italiani anche se non guardano la tivù di Stato.

A differenza delle imposte che devono essere pagati da tutti (l’articolo 53 della Costituzione stabilisce che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”). Le tasse, invece, dovrebbero essere il corrispettivo pagato dal cittadino alla Pubblica amministrazione per un servizio richiesto.  L’obbligo dei contribuenti di pagare il canone Rai non deriva dal fatto che si avvalgono dei servizi della Rai ma per il semplice possesso. Il contribuente avrebbe potuto opporsi al pagamento dichiarando che non guarda la televisione pubblica. Per aggirare l’ostacolo, il canone è diventata “tassa di possesso”: paghi la tassa in quanto proprietario dell’apparecchio televisivo a prescindere dall’utilizzo. Per evitare che gli italiani che non pagassero il canone, non in quanto evasori, ma perché non volevano vedere Telekabul, si è introdotto il sistema di riscossione insieme al pagamento delle bollette delle utenze. Ancora una volta la sinistra, a spese del contribuente, utilizza quella che è definita la “principale industria culturale italiana” per i suoi specifici interessi elettorali sotto lo squadro compiaciuto, anzi “sorridente”, del monarca di fatto!  


di Antonio Giuseppe Di Natale