sabato 21 gennaio 2023
Le congetture di alcuni giornalisti e magistrati sui presunti retroscena dietro la cattura di Matteo Messina Denaro, si inseriscono in una lunga serie di sospetti, fondati sui residui di effettivi misteri del passato, e in particolare sulla presunta persistenza in Italia di un “Doppio Stato” e dei cosiddetti “servizi deviati” (che è un’ipostasi passepartout, per definizione mai falsificabile, ma utile per legittimare qualsiasi sospetto e anche qualsiasi sciocchezza!). Se in passato quel genere di sospetti trovava diversi riscontri fattuali e una qualche ragion d’essere nella Guerra fredda e nella incombente forza di un partito anti-sistema alleato dell’Urss, oggi non hanno più né riscontri né alcuna possibile motivazione razionale che li renda plausibili. Quei giornalisti che sostengono e alimentano quelle tesi, e quei magistrati loro ispiratori e amici, non hanno mai né trovato prove né hanno spiegato perché, con quali motivazioni e per quali obbiettivi, alcuni misteriosi e fantomatici esponenti di istituzioni statali, in particolare dei servizi segreti, avrebbero dovuto rendersi complici della mafia e dei crimini mafiosi e, in particolare, delle stragi dei corleonesi degli anni 1992-94.
Anzi, essi continuano a sostenere le loro congetture anche dopo che persino varie sentenze abbiano drasticamente sconfessato e ridimensionato le loro ipotesi. Quei magistrati e quei giornalisti finiscono persino con il dare per scontata un’immotivata volontà criminale in uomini e istituzioni dello Stato che non si sa perché avrebbero collaborato segretamente e partecipato a quei crimini mafiosi: per sete di danaro? No. Non sembra e nessuno lo sostiene. Perché sarebbero “uomini d’onore” associati a Cosa nostra? Nemmeno. Non è mai emerso e nessuno lo sostiene. E allora perché? Non resta che l’ipotesi del puro sadismo criminale. Un’ipotesi francamente incredibile e insostenibile! Inoltre i presunti “riscontri” da essi forniti sono poco consistenti. Tra questi presunti riscontri ci sarebbe soprattutto un’allusione (occasionale e imprecisata) di Giovanni Falcone a “menti raffinatissime” dietro l’attentato dell’Addaura (allusione riferita solo da un giornalista, non necessariamente riferibile a menti esterne a Cosa nostra e persino contraddetta da varie dichiarazioni dello stesso Falcone contro l’ipotesi di un “terzo livello” mafioso-politico); ci sarebbe poi un riferimento, generico e privo di riscontri fattuali, a probabili connessioni politico-mafiose (chi può escluderle a priori?) contenuto in un inciso nel testo di una sentenza che, oltretutto, era di piena assoluzione verso gli esponenti politici in quel processo sotto accusa; ci sarebbero infine alcune accuse mai veramente provate di mafiosi divenuti “collaboratori di giustizia” e perciò inaffidabili per definizione e da riscontrare.
Da un punto di vista logico, la posizione di quei giornalisti e magistrati sembra una classica petizione di principio: si dà come fatto scontato la tesi che si vorrebbe dimostrare e cioè l’esistenza di una “super-mafia” criminale annidata nei gangli e nel cuore stesso dello Stato. Un “doppio-Stato, appunto. A questa ipotesi mancano riscontri e prove. E ancor di più manca oggi lo scopo. Manca la risposta al perché. Il risultato di quei giornalisti e magistrati è, oltre a quello di diffondere di sé un’immagine di anti-mafiosi “duri e puri senza pari” (in quanto cercherebbero i mafiosi anche fuori della mafia e – a quanto pare soprattutto – tra gli esponenti e i servitori dello Stato), quello di diffondere sospetti spesso del tutto infondati e una sfiducia pregiudiziale nello Stato italiano e nelle sue istituzioni.
di Lucio Leante