mercoledì 11 gennaio 2023
I prossimi “poveri” italiani saranno i pensionati delle cosiddette libere professioni, che dopo aver versato per anni contributi agli ordini e alle rispettive casse previdenziali, riceveranno in cambio misere pensioncine da fame. In seguito ad anni di criminalizzazione da parte di vari esponenti del progressismo radical chic e diversi governi di centrosinistra (organico e non), il risultato è oramai chiaro: avvocati, ingegneri, farmacisti e molti altri verranno avviati bellamente verso la povertà e la decrescita infelice. D’altronde, come scriveva Indro Montanelli, “la sinistra ama talmente i poveri che quando va al potere li aumenta di numero”.
Alcuni dati possono chiarire meglio il senso di quanto sopra. Un avvocato a 70 anni, alla fine della sua carriera, e con 35 anni di contributi dal 2022, percepirà una pensione minima, secondo il primo comma dell’articolo 48 del Regolamento unico della Previdenza forense, pari a 12.237 euro annui lordi. Mentre un ingegnere, al raggiungimento dei limiti di età e contribuzione, cioè dopo 35 anni di onesto lavoro, arriverà ad un assegno minimo pari a 11.206 euro annui lordi. E un farmacista titolare? Bene, per un iscritto dopo il primo gennaio 2004 con 30 anni di contribuzione intera la ricompensa sarà di 516,46 euro lordi per 13 mensilità. Una bella cifretta, non c’è che dire, per morire di fame.
È così via di seguito per tutte le altre professioni. In Italia sono stati istituiti nel tempo diversi Enti oltre l’Inps che erogano prestazioni similari per ogni categoria, e non ci sarebbe nulla di male se l’iscrizione non fosse obbligatoria per tutti coloro che vogliono intraprendere un’attività lavorativa libera. Le casse previdenziali sono numerose e vanno da quelle già citate a quella dei geologi, degli psicologi, a quella dei geometri, dei ragionieri, dei periti industriali a quella dei notai. Un ginepraio di Enti assistenziali che drenano risorse dalle tasche dei professionisti che alla fine della carriera si vedranno restituire, dopo anni di balzelli, assegni poco generosi e se non fosse per qualche proprietà o rendita, ampiamente tassate, per loro sarebbe difficile avere una senescenza serena.
Un sistema che vuole premiare la libera intrapresa dovrebbe lasciare alla facoltà della persona se, come e quando provvedere alla vecchiaia secondo la propria disponibilità e sensibilità. Perché lo Stato impone, a chi vuole vivere del proprio, un’iscrizione obbligatoria, visto che non c’è un sostanzioso ritorno economico per l’aderente? Per due motivi: per riscuotere un’imposta ulteriore, che serve principalmente a coprire i costi degli stipendi di chi lavora in questi uffici e per monitorare il professionista, che è sempre sotto l’occhio vigilante della burocrazia. Tutti e due sono motivazioni altamente dirigiste, stataliste e tipicamente “socialiste”. Dopo decenni di centrosinistra, è passata l’idea che il libero professionista, in fin dei conti, è un evasore cronico e quindi meglio spremerlo alla fonte, obbligandolo, se vuole svolgere la sua attività, a versare denaro alla cassa previdenziale di riferimento. E, contemporaneamente, di converso e surrettiziamente si indirizzano i giovani laureati a optare per un impiego da dipendente, statale o privato, piuttosto che verso il libero esercizio, per farne salariati di grandi aziende multinazionali o burocrati occhiuti.
Un Governo, che volesse rendere il sistema italiano più dinamico e libero, dovrebbe immediatamente abolire gli ordini professionali e tutte le varie casse previdenziali, o quantomeno renderli facoltativi come sosteneva Luigi Einaudi. Già qualche passo avanti è stato fatto per rilanciare le professioni grazie alla flat tax, un’ottima iniziativa potenziata dal Governo Meloni, ma altri ancora vanno fatti, perché i prossimi poveri non siano proprio questi futuri pensionati.
Lasciate che siano gli individui a provvedere a se stessi su come vivere e con che risorse, dopo il termine della propria attività lavorativa – che per inciso non dovrebbe avere limite di tempo – se attraverso fondi privati, investimenti in immobili o in altri strumenti economico-finanziari. Ognuno sa meglio di qualunque altro, Enti pubblici compresi, quale sia il meglio per se stesso e per la propria vita. Purtroppo, in Italia sembra quasi che nella libera professione di libero ci sia soltanto il nome.
di Antonino Sala