mercoledì 7 dicembre 2022
Sull’uso in classe dei dispositivi elettronici arcaicamente chiamati ancora telefonini è intervenuto nel salotto di Bruno Vespa il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che sull’argomento intende “intervenire con una circolare, vedremo se fare altre iniziative”. Contrario alle sanzioni, per il ministro la vera sfida della scuola è “ridare autorevolezza ai docenti. A parte quando il cellulare sia richiesto, in classe si va per studiare e concentrarsi, non per chattare; vanno predisposte le misure per evitare che in classe si faccia altro, come peraltro già stabilito”.
Severo ma morbido, Valditara ha aggiunto: “Quando si va in classe il cellulare non lo si può usare, io chiedo solo questo. È un problema di civiltà e di considerare la scuola una cosa seria, dove ci sia rispetto per gli insegnanti, gli altri compagni e verso i beni pubblici, che sembra scontato ma sono soldi nostri”.
Sul punto si può essere d’accordo o meno, ma è un inizio, difficile arrivare ai cestelli all’entrata per ritirare i tantissimi smartphone dei ragazzi prima del suono della campanella.
A “Porta a Porta” il ministro ripropone poi il tema dei lavori socialmente utili per contrastare il fenomeno del bullismo: “Il bullismo è una persecuzione sistematica, quasi il 25 per cento dei ragazzi ha subìto episodi di bullismo con una diminuzione, secondo degli studi, addirittura di attesa di vita, depressione ed abbandono scolastico. Non possiamo rimanere inerti. Ho proposto l’utilizzo dei lavori socialmente utili che sono già previsti nello Statuto degli studenti del 1978 ma non sono molto usati. Credo sia necessario, il ragazzo deve concepire che il suo ego ha dei limiti, lavorando per la collettività deve rendersi conto che è inserito in una dinamica sociale, non può essere lasciato solo con il suo ego ipertrofico”.
Davide Giacalone, sul punto qualche giorno fa, era stato molto critico sulla misura, e con la consueta lucidità aveva scritto che “indirizzare i ragazzi violenti ai lavori socialmente utili può sembrare una misura rigorosa, ma è la bancarotta del rigore. Può sembrare educativo, ma è il fallimento dell’educazione. Un tempo la sospensione era una misura assai temuta. Intanto perché macchiava il percorso scolastico, escludeva dalle lezioni e poteva preludere a una bocciatura. Ora non si boccia nessuno, quindi è una minaccia farlocca. Poi perché essere bocciati significava impiegare un anno in più prima di andare a lavorare, ovvero impoverirsi. Ora ti danno i soldi se non lavori. Infine perché a casa i genitori ti avrebbero severamente punito. Mentre ora stanno dalla parte del pargolo manesco e testone. Socialmente utile sarebbe che la scuola torni a funzionare e le famiglie tornino a educare. Il resto è vaniloquio propagandistico”.
Insomma, il libro Cuore non è di questa stagione e nemmeno di questo quadrimestre.
di Stefano Cece