mercoledì 7 dicembre 2022
Carlo Nordio vuole rivoluzionare il sistema giudiziario. Davanti alla Commissione Giustizia del Senato il ministro parla degli interventi che ritiene urgenti e che, a suo avviso, possono determinare un impatto diretto sull’economia del Paese. Alcuni esempi? La “revisione dei reati che intimidiscono gli amministratori senza tutelare i cittadini”, a partire dall’abuso d’ufficio (“su 5400 procedimenti aperti nel 2021 le condanne sono state solo una ventina”) e dal traffico di influenze illecito. E in un secondo momento, in nome del garantismo, le riforme destinate a incidere “più radicalmente” sul sistema giustizia, da realizzare anche con modifiche alla Costituzione: l’adeguamento alla Carta fondamentale del Codice penale Rocco, “espressione dell’ideologia fascista”, e la “attuazione piena” del Codice di procedura Vassalli, che richiederà interventi “ancora più incisivi su obbligatorietà dell’ azione penale, ruolo del pm, separazione delle carriere, Csm e reclutamento e valutazione dei magistrati”.
Le parole del ministro della Giustizia suonano come un atto di accusa nei confronti dei pubblici ministeri. La presunzione d’innocenza, principio cardine del nostro ordinamento, “continua a essere vulnerata in molti modi”, attacca il ministro. Bisogna agire contro “l’uso eccessivo e strumentale delle intercettazioni, la loro oculata selezione con la diffusione pilotata” ma anche contro l’azione penale ormai “diventata arbitraria e quasi capricciosa”. Nel mirino c’è pure l’uso della custodia cautelare “come strumento di pressione investigativa” e “lo snaturamento” dell’avviso di garanzia diventato “condanna mediatica anticipata e persino strumento di estromissione degli avversari politici”. Sulle intercettazioni il ministro prepara una “profonda revisione”: sono troppe (di “gran lunga più della media europea”) e la loro diffusione è uno “strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica”. Non solo: costano tanto, “200 milioni all’anno”, e spesso sono “assolutamente inutili”, dice il ministro, promettendo la linea dura su “ogni diffusione che sia arbitraria e impropria”.
Quanto alla custodia cautelare, “confligge con la presunzione di innocenza”, e per questo “non può essere demandata al vaglio di un giudice singolo”, afferma il ministro che pensa di assegnare la competenza a un organo collegiale. Nordio va giù duro anche sull’obbligatorietà dell’azione penale: si è trasformata in “un intollerabile arbitrio. Il pm “può trovare spunti per indagare nei confronti di tutti senza dover rispondere a nessuno”. Anche per questo è arrivato il momento di una “vera” separazione delle carriere, necessaria perché il pm “svolge un ruolo completamente diverso dal giudice e quindi non ha senso che stia nello stesso ordine”. Il ministro pensa anche a una revisione dell’accesso in magistratura, delle nomine dei capi degli uffici giudiziari da parte del Csm e soprattutto intende affidare i giudizi disciplinari a una Corte terza, individuata con criteri oggettivi, perché non è possibile lasciare l’attuale situazione dove chi giudica è eletto “con criteri di appartenenza correntizia da quegli stessi magistrati che vengono poi giudicati”.
Un programma che prevede anche interventi per le carceri (compreso l’impegno a limitare i tagli previsti dalla manovra) e il pieno rispetto delle scadenze previste dal Pnrr per la giustizia, che la maggioranza sottoscrive, a partire dalla premier Giorgia Meloni che definisce “importante” la riforma della giustizia. “Bene il ministro Nordio, avanti con la separazione delle carriere”, commenta il vicepremier Matteo Salvini. Euforica Forza Italia, deluso invece il Pd e preoccupati i pentastellati. Il grillino Roberto Scarpinato teme un depotenziamento della risposta alla corruzione. Apprezzamenti anche da Azione e Italia viva, ma Matteo Renzi attende Nordio alla prova dei fatti.
Il deciso “no” dell’Anm
La reazione dell’Associazione nazionale magistrati è di nettissima chiusura rispetto all’idea di riforma della giustizia pensata da Nordio. Il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia non condivide la tesi secondo cui talvolta le intercettazioni vengono utilizzate in maniera eccessiva e strumentale: “Non posso condividere un approccio di questo tipo. Rappresentano uno strumento di contrasto importantissimo”. Altro tema cruciale affrontato da Nordio è quello relativo all’obbligatorietà dell’azione penale: il ministro ritiene che si è tradotta in un “intollerabile arbitrio” e che il pm “può trovare spunti per indagare nei confronti di tutti senza rispondere a nessuno”. Il presidente dell’Anm, intervistato da Repubblica, prende le distanze e rimarca: “Davvero non riesco a comprendere un giudizio così pesante che, a questo punto, andrebbe almeno circostanziato”. Un’ulteriore questione aperta riguarda la separazione delle carriere. Per il Guardasigilli “non ha senso” che il pubblico ministero appartenga al medesimo ordine del giudice perché “svolgono un ruolo completamente diverso”. Anche sul punto della separazione delle carriere tra giudicante e inquirente si conferma la contrarietà (storica) dell’Anm: “Il pubblico ministero finirebbe per essere collocato sotto il controllo politico del governo”.
Audizione alla Commissione della Camera
“Non è vero che ho accusato i pm di aver diffuso le intercettazioni” ma “c’è stato un difetto di vigilanza”, “quando usando questo strumento delicatissimo che vulnera, non vigili abbastanza per evitare che persone che non c’entrano nulla con le indagini vengano delegittimate”. Lo ha detto Nordio, illustrando le linee programmatiche. Secondo il Guardasigilli, “il vulnus non ha colpito solo politici e amministratori, ma anche magistrati”, ha ricordato, citando anche Loris D’Ambrosio, deceduto “forse perché coinvolto in questa porcheria di diffusione arbitraria”. “Sono disposto a battermi fino alle dimissioni”, ha detto. In audizione alla Commissione della Camera sulle linee programmatiche del suo ministero, il responsabile della Giustizia ha osservato che “qualcuno ha detto che mi sono scatenato contro i pubblici ministeri, ma figuriamoci se uno che ha fatto il pm per 40 anni può scatenarsi contro i suoi colleghi. Potete immaginare che io possa volere una soggezione del pm al potere esecutivo? È quasi un insulto. La separazione delle carriere non è soggezione all’esecutivo”: questa è una ‘speculazione’ per non dire che il problema esiste”. Secondo Nordio, inoltre, “l’emergenza economica richiede come priorità una giustizia efficiente”. E “la giustizia civile è la nostra priorità”, ha aggiunto, proprio per il suo impatto economico. Il ministro ha parlato di tre leve: trasformazione digitale, (come il “progetto del tribunale online su cui stiamo lavorando”), monitoraggio statistico e opportunità di intervento delle politiche di coesione, con il ricorso alle risorse comunitarie.
Il Garante: 79 suicidi in carcere, mai così tanti
Frattanto, destano sconcerto i numeri dei suicidi in carcere. Negli ultimi dieci anni si sono tolti la vita 583 detenuti, 79 solo negli ultimi 11 mesi: il numero più alto in questo lasso di tempo e un dato ancora più allarmante se si considera che ora i detenuti sono molti meno che dieci anni fa. Vi sono dei dati ricorrenti e, secondo un’indagine del Garante nazionale, se di considera che un suicidio su cinque si verifica nei primi dieci giorni dall’ingresso nel carcere, più che le dure condizioni di vita in cella o la durata della pena da scontare, sembra pesare “lo stigma” e anche la “paura dell’esterno”. Da qui la necessità di attenzione sulle condizioni di accertata fragilità, dei 79 suicidi, infatti, 33 erano senza fissa dimora o persone con disagio psichico. C’è “grande dolore” per la sequenza di suicidi, ha detto Nordio, che ha promesso di limitare i tagli in manovra e delineato a grosse linee quella che potrebbe essere una rivoluzione per il sistema carcerario.
Tra i primi a togliersi la vita quest’anno, un 25enne di origine marocchina: era entrato alle 21 ed è morto alle 5 del mattino seguente, non c’è stato il tempo di immatricolarlo. Il più anziano aveva 83 anni, con un fine pena al 2030, e un reato che viene definito dall’Amministrazione penitenziaria di “riprovazione sociale”, quando si è tolto la vita era in isolamento dovuto al Covid. Da inizio anni 194 persone sono morte in carcere, 82 per cause naturali, 79 per suicidio, 30 per cause da accertare e 3 per cause accidentali. Tra i suicidi, 74 uomini e 5 donne, 46 italiani e 33 stranieri. Per la prima volta il Garante ha indagato sul fenomeno dei suicidi in carcere, andando oltre la conta. Sono stati incrociati gli elementi ricorrenti, l’età, condizioni le fragilità personali o sociali di partenza, e poi la posizione giuridica dei suicidi. Ne viene fuori, sottolinea l’organismo presieduto da Mauro Palma, che “a dispetto di quanto ci si potrebbe aspettare, le condizioni della vita detentiva o la durata della pena ancora da scontare o della carcerazione preventiva spesso non sembrano risultare determinanti nella scelta di una persona detenuta di togliersi la vita”. Quarantanove persone si sono suicidate nei primi sei mesi di detenzione; di queste, 21 nei primi tre mesi dall’ingresso in istituto e 15 entro i primi 10 giorni, 9 delle quali addirittura entro le prime 24. La metà erano in attesa di una sentenza definitiva: 31 persone perché in attesa di primo giudizio, 7 attendevano l’appello.
Nordio ha assicurato “tutele per i fragili”, in coordinamento con le autorità sanitarie, gli enti locali e le comunità terapeutiche: “L’obiettivo è individuare fin dall’inizio le persone con problematiche da dipendenza o con patologie psichiatriche o rischio di autolesionismo”. Guardando più in là, Nordio intende ripensare l’intera struttura, anche con “un commissario straordinario”. Secondo il Guardasigilli, “per i detenuti meno pericolosi, o comunque per quelli in custodia cautelare, si può pensare all’uso delle numerosissime caserme dismesse, e le carceri in appetibili centri città”, potrebbero essere vendute per costruirne altre “più grandi, moderne e funzionali”.
di Redazione