giovedì 10 novembre 2022
Anche Enrico Letta non si sottrae allo sport del momento: l’opposizione che attacca l’opposizione. Il segretario dimissionario del Pd, in una lettera al Corriere della Sera, attacca pentastellati e calendiani. “Per M5s e Terzo polo – scrive – la nuova legislatura è iniziata come era finita la precedente. Tutti contro il Pd: Carlo Calenda, Giuseppe Conte e Matteo Renzi sono ancora in campagna elettorale”. Letta parla di “un’opposizione all’opposizione”: “Stessi i toni, simili le forzature dialettiche, a dimostrazione che, quando si tratta di piccoli interessi di parte, alla fine possono emergere paradossali affinità elettive anche tra chi ha passato anni a farsi reciprocamente la guerra e a porre a noi estenuanti veti incrociati. Nel mentre – sostiene Letta – la destra ha vinto le elezioni e Giorgia Meloni governa l’Italia. Eppure, tutti e tre ritengono che fare opposizione al Pd sia più redditizio che fare opposizione al governo più a destra”. Letta rivendica la sua proposta di un coordinamento delle opposizioni: “Un segnale di debolezza, per taluni. La conferma, a mio parere, della funzione di presidio delle istituzioni e dell’interesse generale che è parte dell’identità Pd”.
“Il Pd – prosegue – è un partito. Un partito che non è proprietà di nessuno se non dei suoi iscritti, militanti, elettori. Siamo oggetto di una quotidiana opposizione all’opposizione e questo fa da sfondo al congresso e incide sul suo svolgimento nel racconto pubblico”. Secondo Letta è “un dato di fatto, niente vittimismi”. Poi attacca a sua volta: “Quali partiti hanno fatto di recente o fanno ancora congressi veri con leadership contese da più candidati? Nessuno. È prassi scontata negli altri Paesi Ue. È rarità nell’Italia dei partiti personali o proprietari di oggi. Noi abbiamo una vera democrazia interna, gli altri no”.
Calenda non perde occasione e su Twitter accusa di vittimismo il leader dem. “Caro Enrico Letta – scrive – c’è una sola cosa che un grande partito come il Pd non può davvero mai fare: il piagnisteo. Dalle bollette, alle Regionali vi abbiamo offerto collaborazione sui contenuti. Decidete liberamente. Ma senza vittimismi”.
Frattanto, prosegue il dibattito interno al Pd. L’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando torna ad affrontare la questione legata alle Regionali. “C’è chi – afferma – arriva addirittura a scandalizzarsi perché il Pd dice no a Moratti. È chiaro che queste posizioni immaginano la trasformazione del Pd in una forza centrista, ben diversa anche dal suo progetto originale del 2007. Una deriva fatale per la sopravvivenza del partito”. Orlando, in un’intervista al Manifesto, parla del congresso del Pd e della ricerca di un terreno comune di valori per tutti. “Esistono le condizioni per una sintesi si sono. Mi preoccupa però che per alcuni questo percorso sia solo una perdita di tempo, un fastidio burocratico. Se vogliamo coinvolgere realtà esterne, non possiamo avere un atteggiamento di sufficienza. Io non penso che oggi possiamo bastare a noi stessi. Ma se la costituente deve essere vissuta con fastidio, allora è meglio lasciar perdere”. Secondo Orlando, sul Pd “ci sono due opa ostili” da parte di M5s e Terzo polo “che giudico miopi, perché attaccando noi si indebolisce la prospettiva di una alternativa alle destre. Tra loro c’è anche un evidente gioco di sponda nell’accerchiamento. In questa fase servirebbe un fronte comune nel Pd, per rispondere all’aggressione che sta funzionando di più: quella di Conte. E la risposta possibile è mettere a fuoco la posizione sulla guerra e chiarire la ricetta per rispondere alla crisi sociale”.
Sulla guerra, dice Orlando, “non basta schierarsi in modo assertivo con l’Ucraina, occorre anche una proposta sul fronte politico-diplomatico”. Sulla possibilità di un candidato della sinistra interna alla guida del Pd, Orlando sottolinea: “Ci dovrà essere in campo una candidatura che espliciti questo punto di vista, è nell’interesse di tutto il Pd. Valuteremo insieme la proposta migliore. La cosa fondamentale è che i candidati si cimentino su questi temi, dicano cosa pensano”. Sui nodi del partito: “In direzione – dice Orlando – ho ricordato come solo in Italia la discussione sul modello di sviluppo è considerata un tabù. Questo è il principale dei nodi che il Pd non ha sciolto. Da questa riflessione derivano le ricette che proponi su temi come la tassazione degli extraprofitti, il salario minimo, le politiche industriali, il lavoro povero e precario. Del resto, critiche all’attuale modello di sviluppo arrivano da culture diverse: socialista, cattolica e ambientalista. È ormai evidente a un numero più grande di persone che per ragioni diverse il modello economico attuale va riformato”.
di Mino Tebaldi