La lasceranno governare in pace?

sabato 22 ottobre 2022


Il Governo Meloni non è ancora nato che già si riscontrano delle evidenti crepe all’interno della maggioranza. Inutile girarci attorno o cercare di dissimulare: di crepe si tratta. Di strappi dettati dalle manie di protagonismo e dall’incapacità, da parte dei due partner minori della compagine governativa, di accettare di essere stati surclassati dal partito che avevano sempre visto come un “satellite”, per dipiù guidato da una donna che – orrore degli orrori – ha capito che non si governa con le promesse mirabolanti, coi “pasti gratis” (che non esistono, come diceva Margaret Thatcher), con gli slogan e con le dirette sui social. Giorgia Meloni ha vinto e ha capito che il governo è un’arte e che il suo esercizio richiede un continuo compromesso con la realtà. E questo, a Silvio Berlusconi e a Matteo Salvini, proprio non va giù.

A un osservatore esterno sembrerebbe quasi che i due azionisti di minoranza vogliano sabotare la nascita del governo e che ce la stiano mettendo davvero tutta. Che i due abbiano paura di confrontarsi con le sfide epocali che attendono il futuro Esecutivo? Quale che sia la ragione, il comportamento di Salvini e Berlusconi è stato irresponsabile, inaffidabile e del tutto irrispettoso nei riguardi del risultato elettorale. La maggioranza degli italiani ha scelto il centrodestra, e la maggioranza della maggioranza ha scelto Giorgia Meloni come leader della coalizione e futura premier. Se ne facciano una ragione, tanto chi continua a non trovare argomento migliore dell’allarme fascismo, quanto chi preferisce dedicarsi ai giochetti politici o alle ripicche infantili, invece che mettersi a lavorare seriamente per fare quello che è necessario.

Prima le impuntature di Salvini sui ministeri da dare alla Lega, rivendicando per lui stesso il Viminale, pur essendosi già dimostrato del tutto inadeguato a gestire un dicastero così pesante e pur sapendo benissimo che la sua presenza in un ruolo così preponderante non sarebbe stata affatto gradita al Colle, a Bruxelles e a Washington. Alla fine dovrà rassegnarsi, ma non è detto – anzi, è altamente probabile – che il Capitano non deciderà di far scontare alla Meloni il suo “sgarbo”. Come? Ricominciando a fare “dentro e fuori” come nella miglior tradizione del leader leghista, sempre pronto ad anteporre l’interesse di partito (e il suo) a quello della nazione, che chiede stabilità e un leader capace di tenere la barra dritta.

Il peggio di sé, tuttavia, l’ha dato Berlusconi, che è riuscito persino a superare Salvini nella mancanza di correttezza e di serietà. Sarà l’età avanzata, sarà che è dura per chi era abituato a dirigere l’orchestra ritrovarsi a suonare il triangolo, sarà che è difficile rassegnarsi al proprio declino – così è la vita – ma il Cavaliere sta giocando una partita sporca contro Giorgia Meloni, ed è chiaro come la luce del sole. Prima il mancato appoggio all’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato – con tanto di “vaffa” al candidato poi eletto comunque grazie al soccorso provvidenziale di qualche membro dell’opposizione e di epiteti poco lusinghieri rivolti alla Meloni scritti da Berlusconi nel suo taccuino – poi la prova di forza sul ministero della Giustizia – con Berlusconi che spinge per l’ex presidente del Senato Elisabetta Casellati e la Meloni intenzionata ad affidare il dicastero a Carlo Nordio. Nessun problema alla Camera, invece, dove l’elezione di Lorenzo Fontana alla presidenza è filata liscia come l’olio: sarà che si trattava di un leghista e non di un fratello d’Italia? Se così fosse, sarebbe la prova del fatto che il problema di Berlusconi è proprio la Meloni. Il motivo? È del tutto immune dai tentativi di condizionamento da parte di un leader al tramonto che crede di essere ancora allo zenit. Non si lascia impastoiare la Meloni, e questo per Berlusconi significa dover rinunciare anche al sogno di essere “l’eminenza grigia” del nuovo governo, di essere il premier “de facto”, di condurre i giochi. Salvini avrebbe potuto circuirlo, in qualche modo: ma la Meloni è uno “spirito libero” e non si lascia mettere le briglie.

Sembrava che le acque si fossero calmate lunedì, quando i due leader si sono visti nella sede nazionale di Fratelli d’Italia. Sorrisi (anche se tirati), strette di mano, rassicurazioni e dichiarazioni concilianti. Tutto passato? Macché, il giorno dopo riecco il Cavaliere che torna alla carica con la Casellati al dicastero della Giustizia – come se il giorno prima nulla fosse successo – ed ecco che spuntano fuori gli audio in cui, coi suoi parlamentari, tesse le lodi di Vladimir Putin, col quale si sarebbe scambiato regali, lettere “dolcissime” e che avrebbe scatenato la guerra solo per soccorrere la minoranza russa del Donbass che stava subendo persecuzioni – rinverdendo così la versione complottista e russofila sulle violenze etniche delle quali nessuno, stranamente, ha mai trovato le prove. Questa dichiarazione – anche se smentita dai maggiorenti di Forza Italia, con giustificazioni assai risibili – ha fatto perdere le staffe alla Meloni, che con un lapidario comunicato stampa ha lanciato un segnale agli alleati – entrambi famosi per le loro “love story” col dittatore russo. L’Italia non sarà l’anello debole dell’Occidente – dice la premier in pectore – e non verrà meno agli impegni presi con la Nato, con l’Europa e con l’Ucraina. Chi non la pensa alla stessa maniera non potrà fare parte del Governo da lei guidato, anche a costo di non farlo nascere affatto. Parole di grande buonsenso. Parole volte a chiudere la questione del posizionamento italiano in maniera definitiva. Parole che dimostrano come la collocazione atlantica, europea e pro-Ucraina dell’Italia non può essere oggetto di negoziazioni, di compromessi politici o di ambiguità.

Non sarà facile, per la Meloni, tenere a bada le intemperanze dei partner e mitigare le rispettive manie di protagonismo. Se queste sono le premesse si prospettano grossi grattacapi per la futura premier e per l’Italia intera, che sperava nella stabilità politica e, di questo passo, si ritroverà ancora più instabile di prima. Come già sostenuto in un precedente articolo, la vera opposizione la Meloni ce l’avrà all’interno della sua maggioranza. Sarà davvero un’impresa titanica per lei e questo – a prescindere da come si è votato – è spiacevole: perché ancora una volta la classe politica italiana dimostra di relegare questo Paese, la sua reputazione e i suoi interessi a un ruolo secondario. Ancora una volta i nostri governanti dimostrano di concepire la politica come un colorato e fantasioso avanspettacolo dove tutto può succedere. Ma la verità è che abbiamo bisogno di responsabilità, maturità e ragionevolezza: è con queste virtù che si sconfigge la “politica del varietà”. La Meloni sembra l’abbia capito e speriamo che gli altri due facciano altrettanto, anche se sarà difficile.


di Gabriele Minotti