La sinistra inaugura una nuova stagione d’odio

martedì 18 ottobre 2022


“Peggio di così nemmeno con l’immaginazione più sfrenata. L’Italia non merita questo sfregio” dice Enrico Letta a mezzo social a proposito della nomina dell’onorevole Lorenzo Fontana a presidente della Camera dei deputati. Parole feroci non sono state risparmiate – da parte degli esponenti della sinistra – nemmeno per la nomina del senatore Ignazio La Russa a presidente del Senato della Repubblica.

Hanno fatto sempre così dalle parti della sinistra, pertanto non stupiscono più di tanto questo genere di affermazioni. Loro, gli illuminati, gli eletti, i padroni assoluti dello Stato, manco fossero sovrani dell’Ancien Régime, si sentono in dovere di dirci chi è degno e chi no di assumere ruoli istituzionali. Peraltro, è bene rammentare al segretario del Partito Democratico come proprio le sinistre, che accusano di parzialità la designazione del centrodestra alla presidenza della Camera dei deputati, negli ultimi decenni abbiano sempre imposto, proprio in quel ruolo, esponenti della sinistra più estrema come Fausto Bertinotti, Laura Boldrini, Roberto Fico.

Quella che può apparire come un’evidente contraddizione, in realtà rappresenta un elemento costituivo della storia della sinistra che è una storia dell’odio contro la società tradizionale, contro la religione, la Patria, la famiglia, la vita, l’antropologia umana. Quest’odio si traduce nella necessità di abbattere, con la violenza o con la politica, tutte quelle realtà che si frappongono all’obiettivo rivoluzionario. Si spiega perché dal Partito Comunista italiano in poi, le sinistre, avendo ben assimilato la lezione di Antonio Gramsci, abbiano occupato a partire dal Dopoguerra, in maniera diffusa e capillare, la cultura e l’istruzione di questo Paese, con le conseguenze che ben conosciamo.

È in questo contesto che la sinistra italiana iniziò a ostracizzare chi non si piegava alla cultura del ’68 e del “vietato vietare”. Oggi, immemori del clima d’odio degli anni di piombo, delle Brigate rosse, delle stragi, dei Sergio Ramelli, le parole di Enrico Letta, come degli altri esponenti di spicco della sinistra, alimentano nuovamente le divisioni e il pregiudizio ideologico che hanno portato a tali drammatici eventi.

Nel frattempo, però, faticosamente si fa strada un’altra Italia, quella maggioranza silenziosa composta in parte dagli elettori sensibili ai principi antropologici che ineriscono al bene comune, come il diritto alla vita, la centralità della famiglia, la libertà religiosa e di educazione. Quel Paese profondo che guarda con orrore alle proposte del Pd e delle sinistre sui suddetti temi. Che non si lascia ammaliare dalla loro propaganda ideologica, dai loro influencer, novelli cortigiani di corte, dai loro giornali e dalle loro televisioni che scientemente “sbattono il mostro in prima pagina” con tanto di epiteti buoni per ogni stagione: fascista, medievale, ultracattolico, omofobo, putiniano. Vuote e vacue parole che celano l’incapacità di confrontarsi con una cultura diversa, con un “pensiero forte”, che in taluni casi si preferisce silenziare, come accade spesso quando gli stessi concetti vengono espressi dal Santo Padre.

Un pensiero che, pur nel rispetto della dignità di ogni persona, avrebbe il diritto di essere espresso senza censura di sorta, come sancito dalla “Costituzione più bella del mondo” (cit.). Eppure, Letta e i suoi restano ancorati a una visione giacobina della politica, volta a imporre le proprie asserzioni a uomini refrattari, come avvenne durante la Rivoluzione francese. Una logica, peraltro, che li ha portati a perdere terreno tra le classi popolari, diventando sempre più il partito del capitale e della grande finanza speculativa. L’esito ultimo del Pd è quella di avere assunto la veste di Partito Radicale di massa secondo la precisa descrizione che aveva formulato, in tempi non sospetti, Augusto Del Noce.

Come riporta Vittorio Messori nel testo “Pensare la storia. Una lettura cattolica dell’avventura umana” a chi gli chiedeva conto di queste sue virtù profetiche, Del Noce rispondeva: “Non occorreva davvero essere indovini: persa per strada l’utopia rivoluzionaria, l’essenza di surrogato religioso, è restato al marxismo soltanto il suo aspetto fondamentale, di prodotto dell’illuminismo scientista, del razionalismo che esclude Dio per una scelta previa e obbligata. Anche il comunismo “all’europea”, dunque, si è rovesciato nel suo contrario: voleva affossare la borghesia e ne è divenuto una delle componenti più salde ed essenziali. Anzi, si pone ora come obiettivo storico l’imborghesire nel modo peggiore quelle masse che voleva liberare dalla cultura e dall’oppressione borghesi. Non dice nulla che, in Italia, non solo finanzieri alla De Benedetti, ma anche giornalisti corifei del più brutale “esprit bourgeois” siano gli ispiratori della dirigenza del nuovo Pci?”.

(*) Vittorio Messori, “Pensare la storia. Una lettura cattolica dell'avventura umana”, 688 pagine, SugarCo, 19 euro


di Vittorio Leo