Il Potere è donna? La Mater immanente

martedì 18 ottobre 2022


Donne al potere o potere alle donne? Nelle “bananalisi” stucchevolmente ricorrenti nei media e nella stampa nazionale, a proposito del primo presidente del Consiglio italiano appartenente al “gentil” (si fa per dire) sesso, si registra l’assenza addirittura dell’ovvio. Che, poi, suona così: “Perché sono donne le leader indiscusse dei maggiori partiti della destra europea, come il Rassemblement National francese della Marine Le Pen e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni? Com’è potuto accadere tutto ciò nei due partiti citati che più “machisti” non si può? Qualche maestro della psicobanalisi (copyright Maurizio Crozza) scomoderebbe la figura ancestrale della Grande Mater, colei che simbolicamente rappresenta la Terra e tutto ciò che da lei proviene e ritorna alla fine del sacro ciclo della vita.

Più prosaicamente, invece, il significato politico andrebbe ricercato nelle due figure simbolo dell’unità nazionale, la Marianne per i francesi con il cappello frigio del 1789, e l’Italia coronata per noi dopo la Presa di Porta Pia. Nonostante tutti i lamenti cinquantennali delle femministe di tutto il mondo, sul Vecchio Continente il potere scivola di mano come un’anguilla a quello che una volta fu il Pater dispotico e tiranno, per riposizionarsi in gentili, quanto ferme e autoritarie, mani femminili. Basta fare la conta: donne molto influenti sono (o sono state) ai vertici dei governi nazionali, delle istituzioni europee e dell’Europarlamento.

In primis, Angela Merkel, responsabile di vari disastri come lo strangolamento della Ue con il tubo del gas di Putin e strenua sostenitrice dell’egoismo intollerabile della camicia di nesso finanziaria (fatta indossare ai bilanci pubblici dei Paesi della Ue), di Maastricht, del Fiscal Compact e dell’euro-marco che, complice la scomparsa del doppio prezzo dagli esercizi commerciali italiani dopo soli sei mesi dal changeover, ha fatto letteralmente lievitare, se non raddoppiare, il livello dei prezzi di beni di consumo e degli immobili.

Seguono, in ordine cronologico, Ursula Von der Leyen (presidente Commissione europea), Cristine Lagarde (Governatore Bce), Roberta Metsola (presidente Parlamento europeo), i primi ministri di Inghilterra, Estonia e Finlandia, Liz Truss, Kaja Kallas, Sanna Marin. Ora, tornando al “perché” in due grandi partiti machisti e autoritari della destra europea comandino due donne determinate e forti di carattere (tanto da opporsi, con grande efficacia, la prima all’incumbent Emmanuel Macron e la seconda a Silvio Berlusconi), è proprio il fatto che una donna carismatica, la cui leadership sia riconosciuta e rispettata dai suoi colleghi di partito, che costituiscono la stragrande maggioranza dei dirigenti, simpatizzanti e iscritti, toglie dall’arena le prerogative e la competizione anche feroce tra i maschi “alfa”, sempre pronti a incrociare il proprio palco di corna per decidere chi sia tra di loro il più forte e, quindi, degno di comandare il branco.

La cosa più sorprendente deriva dal fatto che né Marine Le Pen, né Giorgia Meloni hanno rinunciato a un briciolo della loro femminilità, simboli esteriori compresi. Solo la vicepremier ucraina, Iryna Vereshchuk, molto simile per carattere e physique du rôle alle due colleghe, ci ha rinunciato indossando divisa mimetica ed elmetto, per ovvi motivi. Ma, un’altra considerazione conta, forse, più delle altre finora citate e riguarda il fatto che il potere alle donne è favorito ed esaltato nei sistemi democratici e non in quelli autocratici.

Per cui, ad esempio, non si capisce bene come il mondo femminile occidentale che combatte in prima linea per i diritti delle donne non scenda a milioni e regolarmente nelle piazze di tutto il mondo, a protestare contro terribili autocrati come Vladimir Putin, Xi Jinping, Recep Tayyip Erdoğan e, soprattutto, contro regimi islamici fondamentalisti profondamente misogini come Arabia Saudita e Iran. Questo, in fondo, per il folklore. Ma, che cosa sta accadendo qui da noi nel centrodestra, quando ancora mancano alcuni giorni per l’incarico di formare il nuovo governo alla vincitrice delle elezioni del 25 settembre?

Semplicemente, la fine del Manuale Cencelli e della spartizione per peso politico (nel senso del riconoscimento del potere di interdizione, per cui se sei piccolo ma strategico chiedi e ottieni il doppio delle poltrone ministeriali che ti spetterebbero!) delle spoglie dello Stato e delle Istituzioni, al momento della formazione della nuova compagine ministeriale.

Per ottimi motivi, infatti, Georgia Meloni è obbligata dalla Storia e dagli equilibri internazionali, soprattutto europei, a dover garantire un Esecutivo di alto livello, con personalità di primo piano anche esterne ai Partiti e da collocare nei ministeri chiave, tenuto conto che abbiamo chiesto e ottenuto dall’Ue un credito di 200 miliardi per rilanciare l’economia e le infrastrutture italiane, essendo per di più debitori degli investitori internazionali per un aliquota pari a circa il 29 per cento dei 2700 miliardi dello stratosferico debito pubblico italiano.

Ora, viste le politiche anti inflazioniste della Bce, che vanno a sostituire il Quantitative Easing dell’acquisto sul mercato secondario dei titoli del debito pubblico dei Paesi più in crisi come l’Italia (strategia utilissima in tempi di pandemia, ma che ha iniettato nel sistema finanziario europeo un’immensa liquidità, principale responsabile dell’aumento attuale a doppia cifra dell’inflazione media europea), diventa estremamente problematico ogni scostamento di bilancio per quaranta-cinquanta miliardi di euro, sostenuto a spada tratta da Lega e Forza Italia, per finanziare “alla tedesca” gli inaccettabili ultracosti per imprese e famiglie dovuti all’aumento vertiginoso del costo dell’energia.

La situazione sconsiglia, pertanto, di innalzare in alto i gagliardetti ma, semmai, di guardare alla politica alta (sul tipo di un nuovo fondo europeo per un Recovery da ultracosti energetici, finanziato con debito comune, per cui serve una forte leadership italiana per poter contare ai tavoli di Bruxelles), senza stare ad ascoltare troppi leaderini in cerca di ruolo e di scambi di favori nel solito mercato delle vacche dei posti e degli strapuntini di governo.

Giusto, quindi che la politica che conta si sposti alla luce del sole nelle sedi di partito e non nelle residenze private (a meno di ovvi, autentici impedimenti) e che Meloni sia determinata, in caso di liti e di non meglio imprecisati condizionamenti irricevibili, a chiamare nuove elezioni, dato che in democrazia è giusto sciogliere a ripetizione (vedi Israele) il Parlamento, fintanto che non si raggiunga per amore o per forza una soluzione stabile di governo, lasciando nelle mani degli elettori l’intera responsabilità, e non ai giochi di palazzo, come è avvenuto qui da noi negli ultimi dieci anni.

Non “Populismo”, quindi ma “Popolarismo”. Ultima annotazione: se cambi di casacca ci saranno nel centro destra non privilegeranno di certo l’opposizione ma Fratelli d’Italia dato che, come si conviene per legge naturale, il soccorso viene portato sempre al carro del vincitore. E, poi, chi vorrebbe andarsene a casa prima del tempo, perdendo il proprio seggio conquistato per meriti altrui, nel sistema elettorale multinominale delle liste bloccate a livello nazionale, grazie a un folle sistema elettorale? A buon intenditor.


di Maurizio Guaitoli