La buccia di banana

venerdì 14 ottobre 2022


La situazione, comica, è seria. L’elezione di Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia) a presidente del Senato, che si consuma con la diserzione di Forza Italia (esclusi Silvio Berlusconi e Maria Elisabetta Alberti Casellati) e la stampella dell’opposizione, è una roba su cui riflettere. È vero, siamo solo all’inizio, ma guai a nascondere la polvere sotto al tappeto. Quanto accaduto tra i catafalchi di Palazzo Madama è un siparietto dei giorni nostri tra vecchie e nuove ruggini, giochi di incastri, equilibri che oscillano secondo l’aria che tira. Tutti insieme appassionatamente, nessuno escluso.

Sul fronte della maggioranza, il quadro è presto fatto. Il blitz di Forza Italia viaggia tra il lusco e il brusco. Ok, ci sono i “sinceri auguri al nuovo presidente del Senato, Ignazio La Russa” e il segnale di apertura e collaborazione degli Azzurri fornito proprio dal voto del Cavaliere. Eppure, come rilanciato dalle stesse agenzie, in Fi emerge “un forte disagio per i veti espressi in questi giorni in riferimento alla formazione del Governo”. Con l’auspicio che quei veti “vengano superati”. Veti di cui si è parlato per giorni, soprattutto in riferimento alla costruzione del nuovo Esecutivo. E che hanno un nome e cognome: Licia Ronzulli. Nel gioco di forze consolidato con il voto del 25 settembre, la voce grossa la fanno Fratelli d’Italia e Lega. Forza Italia, che segue più indietro, probabilmente avrebbe voluto qualcosa di più nel riempimento delle caselle. Se non cambieranno gli scenari, potrebbe vantare Antonio Tajani come ministro degli Esteri (anche se resta in piedi il nodo sul dicastero della Giustizia, uno dei cavalli di battaglia di Berlusconi). Al netto di tutto, adesso, è fondamentale che i pontieri si mettano al lavoro per ricucire il filo, mentre si rincorrono le voci che Forza Italia, per le consultazioni con il Capo dello Stato, potrebbe andare da sola. Oggi è la volta del voto del presidente della Camera, dove prende quota il nome del leghista Lorenzo Fontana. Tra poche ore se ne potrebbe sapere di più. Qualche scossa di assestamento, se non fa danni, può essere anche compresa. Purché non diventi la normalità.

Se Atene piange, Sparta non ride. Lo psicodramma tra i banchi della minoranza ha più soggetti in campo. Diciassette voti dell’opposizione consentono l’elezione di La Russa, il quale contraccambia (“voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno votato, quelli che non mi hanno votato e quelli che si sono astenuti e, se mi consentite, quelli che mi hanno votato pur non facendo parte della maggioranza di centrodestra”). Il giochino allestito ieri ha più attori in campo. Matteo Renzi – additato da più parti – non può fare tutto da solo, il suo gruppo è troppo piccolo. Il Partito Democratico, che oggi per l’elezione dello scranno più alto di Montecitorio presenterà un nome di bandiera, ieri ha agito al contrario. Il segretario dem, Enrico Letta, mette in atto un botta e risposta con Carlo Calenda su chi fosse il colpevole di cosa. Ma siamo nell’ambito del gossip da salone di bellezza. Il Movimento Cinque Stelle fa finta di niente, ma con il ghigno stampato in faccia. Morale della favola? Dietro al voto dei 17 senatori c’è la volontà di mettere la bandierina su più parti: vicepresidenze delle Aule, commissioni di garanzia, Vigilanza Rai e via cantante. Insomma, una questione di poltrone. Alla faccia della campagna elettorale contro il nemico “fascista”. Una convergenza di interessi che non può certo far sorridere Giorgia Meloni.

Come detto, siamo solo alle prime battute. Ma la buccia di banana per due è servita. Fare meglio del Governo dei migliori è il mantra, ma occhio a buttare all’ortiche quella compattezza manifestata poche settimane fa. Il nostro sarà anche un Paese senza memoria, ma qualcuno ancora ha un po’ di fosforo in cascina.


di Cla.Bel.