Ultimo brindisi a Palazzo Chigi

mercoledì 12 ottobre 2022


Accomiatandosi dai suoi ministri, Mario Draghi si dichiara orgoglioso dei risultati raggiunti. Io, di quei “risultati”, avrei volentieri fatto a meno. Se ne va il presidente del Consiglio, acclamato miglior premier dell’anno dall’Aula vuota e grigia del Palazzo di Vetro. Se ne va quello che si è accorto, solo l’altro giorno, di essere stato infinocchiato dai partner suoi estimatori, quando si illudeva della solidarietà europea su price cap e condivisione rischi.

Se ne va quello che ci aveva chiesto se volevamo “pace o condizionatori”. Alla domanda, egli, nel coro della pessima leader europea e degli altri europartner, aveva assertivamente risposto per noi. Ma, parafrasando Winston Churchill, come stiamo vedendo, non avremo né l’una né gli altri. Il blackout energetico non scalfirà il suo tripudio: l’inverno che sta entrando lo sfangheremo tra pasta a bagnomaria e tenute da sci casalinghe. La catastrofe energetica si manifesterà – lo dicono i vertici dell’Eni – in tutta la sua drammaticità, nella stagione fredda 2023-2024, quando le misure accroccate per rifornirsi altrove di gas si riveleranno pannicelli caldi, anzi tiepidissimi. Piccole e grandi imprese, sopravvissute finora, affonderanno a decine di migliaia, portando con sé centinaia di migliaia di posti di lavoro. E, nella povertà, milioni di connazionali.

Ma la colpa sarà del nuovo Governo, non del celebrato ex premier: la memoria degli elettori è a breve termine. Per anni e anni continueremo a non avere pace sul fronte orientale, salvo che il silenzio delle armi non arrivi prima e tragicamente, per la sempre meno improbabile Armageddon nucleare. Guerra, crisi energetica, isteria climatica: tutto inevitabile secondo chi riconsegna il Paese in questo stato. Non si possono sollevare obiezioni. E quanto ci ha lasciato ci deve piacere pure.


di Raffaello Savarese