sabato 8 ottobre 2022
In occasione dei festeggiamenti per i 100 anni dalla fondazione del Partito liberale italiano, il nuovo segretario Roberto Sorcinelli ci parla dell’evoluzione e dei progetti futuri di questa storica formazione politica.
Quanto è importante questo centenario per il partito e quali altre iniziative sono previste per festeggiare questo importante appuntamento?
Questo sabato festeggiamo con la dovuta attenzione la fondazione del Partito liberale italiano, in una cornice prestigiosa come il Tempio di Adriano. Evidentemente si tratta di una celebrazione storica: 100 anni dalla fondazione di un partito sono un evento più unico che raro. Oltre a questo primo incontro a Roma, dove saranno presenti i più importanti politici italiani, abbiamo intenzione di proseguire con altri eventi su tutto il territorio nazionale, perché la storia del Pli è stata segnata da tantissime persone, politici e filosofi liberali che hanno agito a livello locale. Questo incontro di sabato sarà il primo di un percorso nazionale e territoriale. Per esempio, in Puglia festeggeremo Giovanni Cassandro ed in Sardegna i Cocco-Ortu.
Con l’ultimo Consiglio nazionale, formalizzato dal congresso, il Pli dopo lunghi anni di stallo, si è riappropriato della sua identità storica e ha scelto nettamente il campo del centrodestra. Ci racconti questo cambio di direzione.
Più che cambio di direzione, parlerei di “rimessa in carreggiata”. La storia del partito è una storia di liberalismo puro, che ha avuto naturalmente vicende alterne sia dal punto di vista elettorale che di discussioni interne. È evidente che la scelta di campo è una scelta, soprattutto in questo momento, molto sentita. Perché crediamo che i valori del liberalismo non possano esser portati avanti dalla sinistra italiana. Noi riteniamo che il Partito liberale debba appartenere al campo del liberalismo classico e si debba confrontare con i conservatori, soprattutto in un periodo storico in cui veniamo dall’applicazione di ricette di stampo socialista e populista che hanno portato all’esplosione della spesa pubblica, all’ampliamento incontrollato di strumenti di erogazione come i bonus. Sostanzialmente riteniamo che in Italia ci sia un forte bisogno di una politica liberale che cominci da una revisione seria della spesa pubblica che possa portare a un riassetto della pressione fiscale verso limiti più tollerabili, a un riassetto istituzionale che possa portare a una semplificazione di tutte le procedure se non addirittura a un capovolgimento della visione che metta al centro il cittadino e quindi l’individuo. Che veda lo Stato, quindi, come al servizio del cittadino per semplificare la propria vita e non come qualcosa che, di fatto, oggi è diventato un nemico del cittadino, un nemico degli imprenditori e di tutte le realtà che si impegnano per creare ricchezza e lavoro.
Riusciremo tra 5 anni a vedere tornare sulle schede elettorali il simbolo del Partito liberale?
Assolutamente sì: questo è il nostro obiettivo a lungo termine. Ma sentiremo parlare del Pli anche molto prima. Innanzitutto abbiamo stipulato un accordo politico con Forza Italia: in virtù di questo, da subito, vogliamo fare delle proposte liberali da sottoporre ai nostri alleati e a tutto il centrodestra. Ma ovviamente tenteremo anche di allargare il più possibile il nostro campo d’azione coinvolgendo tutte le persone che si riconoscono nei valori liberali, anche militanti in altri partiti. Sicuramente le nostre prime proposte riguarderanno il contenimento della spesa pubblica, la semplificazione burocratica, ci piacerebbe anche ridiscutere l’impostazione della sanità e dell’istruzione. Vorremmo modificare proprio questo concetto generalizzato per cui tutto deve essere erogato dallo Stato perché si pensa che in questo modo sia gratis per il cittadino anche se così non è. In realtà, tutto ciò che fa lo Stato può essere fatto meglio e con minor spesa dal privato. Quindi è giusto che lo Stato intervenga per finanziare quei servizi fondamentali per le fasce meno abbienti, che però per noi devono essere strutturati e offerti dal privato, che lo sa fare molto meglio. Vorremmo anche aiutare il Parlamento a confrontarsi su quei temi concreti superando quei pregiudizi di natura ideologica o, peggio ancora, di appartenenza partitica, di fronte all’evidenza della necessità di alcune riforme.
Cosa si può recuperare dell’esperienza del Pli nella Prima Repubblica e quali sono le caratteristiche che deve avere un movimento liberale nella società odierna?
È fondamentale uscire fuori dalle logiche partitiche. Noi della storia della Prima Repubblica possiamo e vogliamo recuperare tutto perché siamo fieri della nostra storia: il Partito liberale ha dato tantissimo all’Italia, molto più di quello che ha ricevuto in termini elettorali. Il peso delle idee che il Pli ha portato alla nazione è sicuramente un peso enorme: basti pensare ai primi due presidenti della Repubblica, Enrico De Nicola e Luigi Einaudi. Il Pli ha dato un contributo di idee e di risultati politici che credo che nessun altro partito possa vantare.
Da Einaudi ad Altissimo, passando per Malagodi e Zanone, qual è il leader storico che è più in linea con le sue idee?
Se dovessi citarne uno solo mi verrebbe difficile perché non saprei scegliere tra Einaudi e Malagodi. Quindi la mia risposta è Margaret Thatcher!
Nei Paesi anglosassoni i liberali hanno perso la “guerra delle parole”, tanto che oggi il termine liberal viene identificato con la sinistra progressista. Come combattere questa guerra di identità culturale?
Riprendo la citazione della Thatcher che io considero una liberale pura, pur appartenendo al Partito conservatore. Quando lei arrivò al potere la situazione inglese per certi versi era paragonabile a quella italiana attuale: l’Inghilterra era devastata da anni di politiche socialiste che avevano minato le radici dell’economia e quindi era necessaria una riforma, così come noi oggi avremmo bisogno di una sorta di rivoluzione nel nostro modo di concepire lo Stato, di concepire l’intervento dello Stato nell’economia pubblica e privata. Ovviamente non va confuso il termine liberal con liberale. In Italia questa distinzione non solo non è necessaria ma addirittura si capovolge: chi vuole appropriarsi della nostra identità tenta sempre di autodefinirsi come liberal-qualcosa: liberal-democratico, liberal-socialista... Nel congresso fondativo del 1922, si rigettò l’idea di chiamare il Pli Partito liberal-democratico italiano, non perché i liberali non siano democratici, ma proprio per evitare qualsiasi tipo di confusione. Infatti, noi al centenario regaleremo la copia del Giornale d’Italia del 1922 che inizia proprio facendo questa distinzione. Sono gli altri che cercano di appropriarsi della nostra identità. I liberal-socialisti per esempio tentano di accreditarsi come liberali perché evidentemente si vergognano della loro natura socialista. Ma se si auspica un intervento dello Stato nell’economia privata non ci si può definire liberali. I socialisti hanno un approccio dirigista. I cosiddetti progressisti hanno un approccio dirigista nel senso che vogliono dirigere il progresso nel senso che per loro è giusto. Perché hanno la pretesa di sapere più degli altri come deve essere modellata la società. Noi liberali siamo progressisti nel senso che vogliamo assecondare i processi naturali, liberi, che avvengono nella società, non guidarli o dirigerli dove vogliamo noi. Ecco perché noi siamo più vicini ai conservatori: vanno conservate le conquiste raggiunte per poter consentire un ulteriore progresso della società.
di Claudia Diaconale