Dossier energia: Europa spaccata

mercoledì 5 ottobre 2022


Europa unita in teoria ma non nella pratica. L’aria che tira, infatti, è un’altra sia tra gli Stati membri che in Commissione. Il dossier sull’energia non trova consensi unanimi. Una situazione di stallo che fa il paio, da una parte, con gli attriti circa il price cap sul gas e sullo scudo da 200 miliardi annunciato da Berlino e, dall’altra, con la redazione di un piano specifico, sul modello Sure (State supported short-time work, fondo europeo da 100 miliardi di euro con cui nel 2020 la Commissione ha previsto un’erogazione di prestiti a condizioni favorevoli agli Stati membri obbligati a mobilitare risorse per tutelare l’occupazione a rischio, dovuta dalla crisi provocata dalla pandemia da Covid-19), per fronteggiare il boom dei prezzi dell’energia. Una soluzione, quest’ultima, cui Italia e Francia strizzano l’occhio. Ma non mancano i mugugni: Germania e Olanda sono contrarie, Palazzo Berlaymont storce il naso.

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, nell’intervento alla plenaria del Parlamento europeo, sostiene che i prezzi elevati del gas fanno innalzare i prezzi dell’elettricità. Quindi, è necessario “limitare questo impatto inflazionistico del gas sull’elettricità ovunque in Europa. Per questo motivo – specifica – siamo pronti a discutere un tetto al prezzo del gas utilizzato per generare elettricità. Questo tetto sarebbe anche un primo passo verso una riforma strutturale del mercato dell'elettricità. Dobbiamo considerare i prezzi del gas – insiste – anche al di là del mercato dell’elettricità. Un simile tetto ai prezzi del gas deve essere concepito in modo adeguato, per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento”. Secondo von der Leyen, si tratta “di una soluzione temporanea per far fronte al fatto che il Ttf, il nostro principale parametro di riferimento per i prezzi, non è più rappresentativo del nostro mercato, che oggi comprende più Gnl”. Inoltre, nota: “Abbiamo diminuito il nostro consumo di gas di circa il 10 per cento. Dobbiamo fare di più ma è un dato importante. Le forniture di gas russo sono diminuite fino ad arrivare al 7,5 per cento del gas di gasdotti. Penso quindi che dovremmo potenziare ulteriormente RePowerEu con ulteriori finanziamenti, finanziamenti comuni. In questo modo tutti gli Stati europei possono accelerare gli investimenti necessari”.

Il Repower, peraltro, ruota sui 200 miliardi di prestiti residui del Next Generation Ue (già risulta che il nostro Paese abbia chiesto l’intera quota che gli spettava) e sulle sovvenzioni (20 miliardi). Proprio quest’ultima cifra sarebbe stata raccolta con la vendita all’asta delle quote del sistema Ets. Eppure, Ecofin, qui, pone la modifica, scegliendo una combinazione di fonti: 75 per cento con il Fondo per l’innovazione e il 25 per cento con le quote Ets. Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione, puntualizza: “Lavoreremo su ulteriori flessibilità temporanee per quanto riguarda i fondi rimanenti nel periodo di finanziamento 2014-2020”. Ed Elisa Ferreira, commissaria Ue, segue a ruota: “Usiamoli per iniziative mirate a sostegno di Pmi e famiglie vulnerabili”.

Poi c’è il passaggio sull’utilizzo dei Fondi di coesione. Con un suggerimento: usare quelli già esistenti per la crisi energetica. Ipotesi che mette d’accordo i falchi del Nord e una parte dell’Esecutivo Ue. E che, allo stesso tempo, si pone come contraltare a un eventuale dispositivo Sure 2. Da qui il braccio di ferro. La presidenza ceca dell’Ue, non a caso, spiega che “sull’idea i Paesi sono divisi”. Sigrid Kaag, ministro delle Finanze dell’Olanda, chiosa: “Abbiamo miliardi e miliardi a disposizione, liberiamoli”. Christian Lindner omologo tedesco, è contrario a nuovi strumenti “in un questo scenario di inflazione”. In più, rimarca che lo scudo tedesco è “mirato e pensato per tre anni”. Paolo Gentiloni e Thierry Breton, riferendosi alla Germania, invitano a “non alterare il mercato interno”. Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, nel frattempo ricorda: “Alcuni Paesi già da tempo fanno quello che noi ci siamo preposti di fare per i prossimi anni”. Per Gentiloni, il Sure 2 sarebbe “un modello realistico contro la frammentazione”, mentre secondo Eric Mamer, portavoce della Commissione, “gli editoriali (di Gentiloni e Breton) sono iniziative personali dei commissari competenti e non impegnano la Commissione”. Dalla prossima riunione potrebbe essere indicata la via. Anche perché, al centro della discussione, ci sarà chi vuole il price cap e il fondo Sure 2 e chi, invece, non vuole scombinare lo status quo.

Infine, mentre le riserve francesi di gas risultano riempite al 100 per cento in vista dell’inverno, come annunciato dalla Commission de régulation de l’énergie (Cre) – che comunque si rivolge ai francesi, per uno “sforzo collettivo massiccio per ridurre i nostri consumi di energia” – Franco Bernabè, ex amministratore delegato dell’Eni e presidente di Acciaierie d’Italia, parlando di crisi del gas e caro bollette, in una intervista a La Stampa segnala che in questo momento “fa caldo e c’è un eccesso di gas ma tutto è destinato a finire appena cambierà la situazione climatica… capiremo quanto soltanto tra gennaio e febbraio, il momento in cui il fabbisogno di metano è massimo. Gli stoccaggi che abbiamo correttamente riempito non basteranno e ci vorrà un flusso continuo dall'estero: però il gas russo non ci sarà”. Il problema vero, per Bernabè, è che “non esistono soluzioni nel breve periodo. Possiamo solo ottimizzare le disponibilità di metano nel corso dell'inverno con una strategia di razionamenti che minimizzi i danni: ma serve un piano estremamente dettagliato in modo da tutelare i servizi essenziali… Occorre immaginare un piano per rimodulare la produzione delle industrie che hanno catene interrompibili. Se poi non sarà necessario attuarlo tanto meglio, ma intanto ci saremo preparati. Senza un piano – termina – ci troveremo nelle stesse condizioni in cui ci siamo trovati all’inizio della pandemia: impreparati a gestire l’emergenza”.


di Claudio Bellumori