giovedì 28 luglio 2022
Exit Mario Draghi e con lui le riforme previste dal Pnrr? Davvero le due entità sono unite per la testa come gemelli siamesi, per cui “simul stabunt, simul cadent”? Per rispondere, occorre dare la parola ai fatti. Allo stato dell’arte (dati Ispi aggiornati a maggio 2022), soltanto sei Paesi membri si sono avvalsi dei prestiti agevolati previsti dal Recovery Plan, ma con notevolissime differenze tra di loro: Cipro (200 milioni), Slovenia (700 milioni), Portogallo (2,7 miliardi), mentre seguono in ordine crescente Grecia (12,7 miliardi), Romania (14,9 miliardi) e, infine, la “bulimica” Italia con ben 122,6 miliardi! Tutti gli altri, invece, o non hanno attivato il Recovery Fund, oppure hanno scelto di accedere pro-quota alle sole donazioni, che non vanno restituite. Quindi, c’è una domanda a monte della scelta italiana che rimane ancora politicamente senza risposta, ovvero: perché l’Italia si è precipitata a indebitarsi? E per quale motivo aumentare un debito pubblico già pesantissimo, caricando di missioni quasi impossibili l’elefante indolente e pasticcione della Pubblica amministrazione centrale, regionale e locale?
A priori, il rischio di dover restituire buona parte di fondi non era forse potenzialmente già altissimo al momento dell’adesione al Recovery Fund, vista e considerata la sorte toccata negli ultimi decenni ai Fondi strutturali europei? Quale smania di protagonismo ha contraddistinto il Governo giallorosso di Giuseppe Conte, colpevole di aver venduto agli italiani un sogno praticamente irrealizzabile, poi “appaltato” a Mario Draghi per tutelare gli investitori internazionali?
Parlando “andreottianamente” (per cui a pensar male…), non è che qualcuno abbia pensato a mettere le mani su quei fondi facili per poi dilatare i cordoni della spesa allegra e dei bonus a pioggia, che fanno felici i clientes ma non creano nuova ricchezza e lavoro? Oppure, sempre su quella falsariga, altri si erano illusi (soprattutto a sinistra) di chiamare il Castigamatti di Bruxelles e le sue Troike “velate” a mettere ordine nel caravanserraglio della politica italiana, obbligandola a realizzare quelle riforme che, in quaranta e passa anni, nessuno ha mai voluto fare, estraendole con il forcipe grazie alla tagliola delle procedure del Recovery Fund, per cui “ti dò i soldi in base allo stato di avanzamento e di attuazione delle missioni e, quindi, delle riforme a esse collegate”?
Si ha, pertanto, la sgradevole sensazione che, ancora una volta, si sia fatta propaganda politica attraverso uno strumento del tutto improprio e sostanzialmente pericoloso, in quanto il non improbabile fallimento del Recovery potrebbe pregiudicare per molti anni l’affidabilità dell’Italia in Europa. Non per nulla, le due torpedini che hanno affondato il Governo Draghi venivano dal rifiuto del Movimento Cinque Stelle di finanziare un inceneritore per il trattamento dei rifiuti a Roma e dal boicottaggio del centrodestra in merito alle concessioni balneari e alla liberalizzazione delle licenze per i taxi.
Un atteggiamento più saggio e ponderato si sarebbe limitato ad analizzare che cosa poteva essere fatto utilizzando i soli “grant” (donazioni) della quota di Recovery spettante all’Italia, pari a 70 miliardi, di cui 32 riservati agli obiettivi del “Climate change”. In fondo, ne sarebbero restati “liberi” 40 per finanziare l’ammodernamento delle strutture sanitarie e la digitalizzazione dei servizi e delle attività della Pubblica amministrazione, giustizia compresa. Soprattutto nell’ambito della sanità, si sarebbe potuto invertire drasticamente la rotta, ri-centralizzando i sistemi di spesa e della fissazione degli standard delle prestazioni sanitarie, in modo da mettere in concorrenza il migliore pubblico con il migliore privato, beneficiario di concessioni in campo sanitario. Gli enormi risparmi conseguenti alla drastica riduzione del numero delle stazioni appaltanti avrebbero così permesso di avere una maggiore sostenibilità finanziaria per la costituzione di una rete territoriale di sostegno (poliambulatori, case della salute, centri di assistenza agli anziani e ai fragili) di prima prossimità e facilmente raggiungibile, anche nel caso di insediamenti sparsi. La vera, più incisiva riforma a costo zero sarebbe stata, in ambito sanitario, un’altra: sottrarre alla discrezionalità politica le nomine nelle Aziende sanitarie locali.
Per farlo, bastava istituire ruoli centrali di merito, a scorrimento periodico, per le posizioni apicali, come Direttore generale, sanitario, amministrativo e di Primario. Le Aziende nelle quali si fossero create vacanze per uno o più dei profili suddetti, sarebbero state vincolate ad avvalersi dei suddetti ruoli nazionali, interpellando per ordine di graduatoria, in base a procedure trasparenti e garantiste, gli appartenenti ai rispettivi ruoli unici nazionali. La ri-centralizzazione avrebbe consentito, per quanto riguarda la parte di “Digital Pa”, di costituire il Big-data delle cartelle informatizzate, consultabile dai sanitari autorizzati su tutto il territorio nazionale, senza più essere ostacolati o vanificati dagli inaggirabili colli di bottiglia dei sistemi informatici regionali. Nello stesso ambito di Digital Pa, si sarebbe potuto realizzare, grazie alle regalie del Next Generation Eu, anche uno Sportello unico nazionale per il collocamento, raccogliendo le offerte di lavoro provenienti da tutte le istanze datoriali presenti sul territorio italiano, da incrociare di volta in volta (in base al così detto “matching”) con la domanda complessiva.
Tuttavia, il vero Cloud che rappresenta il sogno di tutti gli italiani è di avere a disposizione in un unico contenitore l’intera documentazione (atti, certificazioni, autorizzazioni e così via) dei rapporti che ciascun cittadino intrattiene nell’arco della sua vita con l’insieme delle Pubbliche amministrazioni, in modo che qualsiasi ufficio pubblico o agente autorizzato possa consultare in remoto le singole posizioni individuali, storicizzandone e attualizzandone i percorsi. Sarebbero stati, come si vede, quaranta miliardi ben spesi a fronte di una minima fatica per l’approvazione di testi di legge profondamente innovativi, per quanto riguarda il risanamento di un rapporto sempre infelice e conflittuale tra cittadino e burocrazia. Soldi benedetti, o spesa “buona” come direbbe qualcuno.
di Maurizio Guaitoli