Lettera alla politica sulla “grande depressione”

mercoledì 27 luglio 2022


La domanda che dovremmo porci, al di là delle prese di posizione strampalate dei vari burattini politici, è come si sia arrivati a questa poca fiducia nelle istituzioni, nei partiti, negli effetti sociali benefici d’un buon voto. Nella comprensione ci vengono incontro l’etologia (lo studio del comportamento animale), la storia economica, e le buone letture: premettiamo che pochissimi arringatori locali del consenso pare abbiano sedimentato la propria visione politica attraverso queste tre pratiche. Aggiungiamo che la gente (l’elettorato) ha poco ascoltato e analizzato i messaggi verbali di coloro che hanno cambiato con norme e leggi varie la qualità della vita degli italiani. Ricordate frasi come “per addrizzare gli italiani necessita mettere in discussione casa e risparmio” e precarizzare le sicurezze lavorative? Con la fine dell’ultimo Governo Berlusconi abbiamo sentito da vari attori (definiti tecnici) queste ricette come necessarie per salvare l’Italia, indispensabili per non essere cacciati dall’Europa, utili per diventare credibili agli occhi dei mercati e delle istituzioni bancarie internazionali.

Partiamo dalle buone letture, e perché queste ricette prima di noi le aveva criticate John Steinbeck che, nell’opera autobiografica “Uomini e Topi” (così Cesare Pavese tradusse l’originario titolo “Of Mice and Men”), racconta la vita grama dei lavoratori stagionali negli anni della grande depressione statunitense dopo il crollo borsistico del 1929. In pratica, Steinbeck racconta la fine delle illusioni di benessere e del sogno americano, la solitudine che aggredisce le comunità umane e quale senso del destino si sia fatto largo nei loro animi. Una tragica vicenda di prevaricazione e miseria: perché è così che noi topi, noi gente, reagiamo alle drastiche misure sociali imposte dal potere.

Qui viene incontro l’etologia, perché l’uomo reagisce al razionamento di acqua e viveri, come alla precarizzazione abitativa, al pari dei membri d’una comunità di ratti o di maiali: non è un caso il corredo genetico umano sia per più del settanta per cento in comune con quello dei topi e dei suini. Non fraintendete le intenzioni di chi scrive, sono oneste, ed animate da amore verso l’umanità. Però il preambolo ci aiuta a comprendere come il vero potere, colto ed informato, ben conosca le reazioni umane, la facilità con cui si possa disgregare la comunità: del resto Karl Marx sosteneva come una minoranza economicamente ben organizzata avrebbe governato i popoli. Vi chiederete perché andare così a ritroso per comprendere cosa è capitato negli ultimi anni, soprattutto se sia utile per intuire qual è il progetto sulle nostre vite.

La storia economica potrebbe aiutarci a comprendere come la fine del nostro benessere sia figlio del progetto di “grande depressione” evidenziatosi nel 1929. Ovvero uno degli ultimi colpi di coda d’un programmato tracollo economico, auspicato da pochi per realizzare un reset dei mercati e del lavoro. Un reset partito da lontano, col preciso scopo di mettere ordine nei rapporti tra governi, stati, banche e monete. Chi tirava le fila della politica economica che condusse alla “grande depressione” aveva messo in conto gli effetti recessivi devastanti nei paesi industrializzati, il calo generalizzato della domanda e della produzione, la diminuzione dei redditi, l’effetto a catena nelle maggiori città di tutto il pianeta, le ripercussioni sull’industria pesante e sul settore edilizio, la messa in crisi delle aree rurali e minerarie, la generalizzata e massiva disoccupazione. Steinbeck evidenzia sia in Furore che in Uomini e Topi come il sogno americano, il benessere e la tranquillità, siano ormai infranti, come un nuovo ordine e una “economia a debito” abbiano piegato verso l’infelicità gran parte della popolazione. Oggi questa regola impera in tutto in mondo occidentalizzato, dove miliardi di uomini sono costretti a correre per adempiere economicamente agli obblighi stabiliti dalla finanza, dalle sue norme e leggi.

Anche in Italia da decenni i tecnici della finanza mettono in discussione prosperità e progresso socio-economico, crescita e proprietà privata, risparmio e libertà economica dei cittadini: Silvio Berlusconi nel 1994 aveva vinto perché inteso dalla gente come diga politica al gran reset (voluto dalla finanza internazionale ed appoggiato dal partito dei tecnici come da parte della magistratura). Nel ’29 in Usa ed in Italia negli ultimi trent’anni, sono stati parimenti messi in discussione sia i risparmi accumulati dai cittadini che la casa: è la grande contraddizione che caratterizza il “sistema finanziario”, che per un verso promette ricchezza e benessere, e dall’altro appoggia misure che producano insicurezza patrimoniale e lavorativa. È la contraddizione del sistema finanziario, che di fatto appoggia i governi tecnici, bollando la politica consensuale di massa come populismo.

Nel ’29 decolla in Usa un fenomeno che negli ultimi anni abbiamo visto pressante in Italia: non vengono posti limiti alle attività speculative delle banche e della borsa valori, non c’è un intervento pubblico che calmieri i grandi dividendi (dunque i profitti) anzi si permette ai soci delle multinazionali di aumentare il proprio capitale e patrimonio. Così oggi Bill Gates, Elon Musk e Jeff Bezos influenzano le politiche negli Usa e anche in Italia e nell’Unione europea, come nel ’29 i Rockefeller ed i Rothschild si potevano dichiarare gli unici a guadagnarci dalla “grande depressione”. La differenza è nel fatto che nel ’29 c’era la folla fuori dalla borsa di New York, mentre oggi il cittadino non protesta e non vota, dando per scontato che nulla si possa fare per contrastare decisioni prese in consessi finanziari internazionali (Davos, Basilea, Francoforte, New York).

La “grande depressione” (la caduta della borsa del ’29) si rivelava utile a piegare la media borghesia e a bruciarne patrimoni e risparmi, quindi riducendo personale nelle aziende e salari. Veniva così sperimentata la contrazione a valanga nella domanda dei beni di consumo, costringendo gli agricoltori a vendere i terreni e la borghesia cittadina a cedere case e laboratori: un fenomeno che grazie alle politiche dei tecnici della finanza viene ripetuto in Italia, ma anche nei Paesi Bassi e ovunque l’Occidente mette in pratica i dettami della politica finanziaria. Ovvero azionare ad intermittenza le crisi di liquidità per ottenere l’insolvenza generalizzata della gente, quindi avallare governi che garantiscono politiche rigorose alla Mario Monti e alla Mario Draghi. Crisi che garantiscano quella disoccupazione e instabilità che, secondo George Soros, sarebbero l’ingrediente necessario a garantire l’evoluzione finanziaria delle aree più arretrate del Pianeta.

Ma l’Italia è arretrata? Soprattutto sorge il dubbio che l’accusa d’arretratezza provenga da tecnici, economisti e giornalisti pagati dai signori della speculazione finanziaria, ovvero gli eredi ci coloro che hanno organizzato la crisi del 1929. La “grande depressione” si propagava rapidamente fuori dagli Usa, verso tutti quei Paesi che avevano stretti rapporti finanziari con gli Stati Uniti: a partire da quelli europei che si erano affidati all’aiuto economico degli americani dopo la Prima Guerra mondiale (ovvero Regno Unito, Austria e Germania). Il ritiro dei prestiti americani fece saltare il complesso e delicato sistema delle riparazioni di guerra, trascinando nella crisi anche Francia e Italia. In quella occasione, il salotto alto della speculazione rodava mondialmente la macchina da guerra finanziaria. Ma la crisi non colpiva l’economia dell’Unione Sovietica, che in quegli anni aveva inaugurato il suo primo piano quinquennale, gettando le basi della moderna industria russa. Immuni dalla crisi anche il Giappone e i Paesi scandinavi, mentre l’Italia reagiva con il mercato interno e l’autarchia. Ma la speculazione aveva comunque vinto, e perché a causa della “grande depressione” la Gran Bretagna nel 1931 abbandonava il gold standard.

L’economista John Kenneth Galbraith aveva individuato almeno cinque fattori di debolezza nell’economia responsabili della manovra depressiva: cattiva distribuzione del reddito, cattiva struttura o cattiva gestione delle aziende industriali e finanziarie, cattiva struttura del sistema bancario, eccesso di prestiti a carattere speculativo, perseguimento ossessivo del pareggio di bilancio e quindi assenza di intervento statale. Ma tutta questa cattiveria si rivelava utile a fortificare l’economia del debito, ad indebitare a vita le masse. In quegli anni, i potenti della terra iniziavano a insinuare nella politica l’idea che tutto il male potesse provenire dall’assenza d’appropriata guida finanziaria. Che il sistema internazionale avesse necessità d’una sintesi finanziaria. Nella conferenza economica di Genova del 1922 veniva così definito un sistema misto, noto come gold exchange standard, che garantiva egemonia regolatrice internazionale in mano all’economia del Regno Unito.

Ecco che la crisi di oggi (un misto di pandemia e guerra) assomiglia troppo alle ragioni economiche che cagionarono la Grande Guerra, i cui attori finanziari sono gli stessi che trassero benefici dalla “grande depressione” del ’29. La politica di cento e più anni fa intuiva che spostando la guerra dal finanziario-commerciale al militare (il 1914-1918) si ridava ossigeno all’economia interna delle nazioni, al popolo. Nel 1929 il potere tentava di riappropriarsi di quella ricchezza. E la ricetta del potere elaborata nel ’29 in Usa pare funzioni ancora: ovvero grossi gruppi finanziari privati che condizionano l’eccessivo interventismo statale nell’economia americana, influenza iniziata sotto la presidenza di Woodrow Wilson, quando Rockefeller fondava la sua Federal Reserve. Oggi l’influenza della finanza sui governi è la continuazione di quella politica che ci vuole indebitare, togliere case e bruciare i risparmi.


di Ruggiero Capone