Verso le elezioni: l’obbligo di guardare in faccia la realtà

lunedì 25 luglio 2022


La fine del governo Draghi è stata oggetto di una sorta di “moviola” da parte dei mezzi di comunicazione. Gli aggettivi usati dal presidente del Consiglio nel suo intervento al Senato sono stati sezionati uno dopo l’altro. Ognuno dei passi che hanno portato a una accelerazione verso le elezioni da molti non prevista e da altri ritenuta catastrofica è stato rivisto al rallentatore. Se proviamo a guardare la situazione con freddezza, siamo costretti ad accorgerci che la vita del governo è stata accorciata, sì, ma di pochi mesi e che l’imminenza dell’appuntamento elettorale (comunque in agenda per l’inizio del 2023) avrebbe inevitabilmente costretto il premier a mediare e negoziare con i partiti politici che lo sostenevano, specialmente in occasione della legge di bilancio.

È improbabile che si sarebbe arrivati a riscrivere la disciplina del trasporto pubblico non di linea, visto che tutte le forze in Parlamento difendono, chi più chi meno, i tassisti. È possibile che si sarebbe giunti a ritoccare di nuovo la legge Fornero, undicesimo dei diciannove punti di Luigi Di Maio. Senza Draghi, ammoniva il ministro degli Esteri, “nessuna riforma delle pensioni e si torna alla legge Fornero”.

C’erano senz’altro buoni motivi per sperare nella tenuta del governo. Ma non possiamo neanche essere l’unica democrazia al mondo che considera le elezioni alla stregua di un cataclisma. Più che stracciarsi le vesti perché torneremo a votare, la società civile (i giornali, l’accademia, centri studi come questo, le associazioni datoriali, i sindacati, eccetera) dovrebbe rimboccarsi le maniche. Sta a noi fare quel che possiamo perché la campagna elettorale che si apre sia segnata da un certo grado di concretezza. Tocca a noi indicare quali dichiarazioni dei politici postulano una realtà che non esiste.

È il nostro preciso dovere distinguere e aiutare a distinguere le promesse realizzabili e quelle che per definizione appartengono al libro dei sogni. È nostra responsabilità cercare di mettere al centro del dibattito temi come il debito pubblico, la riduzione della spesa, le liberalizzazioni da cui la politica troppo spesso rifugge per timore di dire cose impopolari. Questa attività dovrebbe costituire il vero “scudo anti-spread”.

Purtroppo nella società civile italiana domina un altro registro. Ci piace stracciarci le vesti, invocare un più o meno verosimile salvatore della Patria, coltivare la nostalgia e profetizzare sfracelli ogni volta che tutto non sembra andare esattamente secondo i nostri piani. Una società civile deve fare altro. Se la politica è arida di proposte, deve provare a farne. Se la politica chiude gli occhi sulla realtà, deve tentare di farglieli aprire. Nel suo piccolo, questo Istituto ci prova. Speriamo di non essere i soli, nelle prossime settimane, per giunta sovrastati dal pianto delle prefiche

(*) Direttore generale Istituto Bruno Leoni


di Alberto Mingardi (*)