Governo: il giorno della verità

giovedì 14 luglio 2022


È arrivato il giorno della verità per il Governo. I Cinque Stelle restano fedeli alla linea di non votare, oggi in Senato, la fiducia al Decreto Aiuti. Lo ribadisce forte e chiaro Giuseppe Conte: la decisione giunta al termine dell’assemblea congiunta dei parlamentari pentastellati segna quello che è il punto di non ritorno. A nulla valgono le promesse – ovvero le misure per contrastare i salari bassi e un nuovo patto sociale – per convincere i grillini a tornare sui loro passi. Strappi profondi, questi, che lasciano il segno e che potrebbero portare ad altre rotture all’interno del Movimento Cinque Stelle, oltre che ai saluti (poco cordiali) all’Esecutivo. Inoltre, fallisce il tentativo di mediazione del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico d’Incà: sua la proposta, stamani, di evitare la fiducia sul provvedimento ma di votare articolo per articolo.

Cosa aveva detto Draghi

Riavvolgendo il nastro di una cassetta ormai usurata, due giorni fa il premier – nel corso della conferenza stampa dopo l’incontro con i sindacati – senza troppi giri di parole spiega che il Governo con gli ultimatum “non lavora e non ha senso”, che “non c’è un Governo senza M5S e non c’è un Governo Draghi altro che l’attuale, questa è la situazione”. Quarantotto ore dopo l’ex governatore della Banca centrale europea si trova su una strada dove la luce è sempre più fioca. E nel rullo di tamburi che costeggia il tragitto, Giorgia Meloni – leader di Fratelli d’Italia – tuona: “Guerra, pandemia, inflazione, povertà crescente, caro bollette, aumento del costo delle materie prime, rischi sull’approvvigionamento energetico, crisi alimentare. E il Governo “dei migliori” è immobile, alle prese con i giochi di palazzo di questo o quel partito. Basta, pietà. Tutti a casa: elezioni subito!”. Mentre Matteo Salvini, su Facebook, scrive: “Basta con litigi, minacce e ritardi, parola agli italiani”.

Conteggi sinistri per il Partito Democratico

Se nel mondo d’amore cantato da Gianni Morandi c’è un grande prato verde, nel campo largo spalleggiato dal Partito Democratico è tempo di tirare fuori penna, foglio, calamaio e abaco. Già: il segretario Enrico Letta deve fare i conti e chiede una verifica “per capire se questa maggioranza c’è ancora o no”. Soprattutto perché “la scelta annunciata da Conte e dal M5S rimette in discussione molte cose. E in una maggioranza così eterogenea ci sono dei distinguo. Ma io non mi preoccupo, esiste il voto di fiducia che è fondamentale”. Secca la replica dal fronte leghista: “Se i Cinque Stelle escono dall’Aula, la maggioranza non c’è più”. Insomma: inutile trovare ordine in una baraonda. Mentre Licia Ronzulli, vicepresidente del gruppo di Forza Italia al Senato, nel corso della trasmissione Agorà Estate, su Rai Tre, nota: “Un partito di maggioranza non può non votare la fiducia al Governo che sostiene e di cui fa parte. Questo voto segna un dato politico che farà da spartiacque, perché non si può non votare la fiducia e restare al Governo. Conte avrebbe potuto e dovuto accontentarsi dell’apertura di Draghi su alcuni punti posti dal Movimento Cinque Stelle, invece, ha ritenuto di rilanciare con un’arroganza difficilmente digeribile”.

E adesso?

Giovedì 14 luglio è il giorno X: i Cinque Stelle dovrebbero uscire dall’Aula e non votare, quindi, la fiducia alla misura. A quel punto Draghi, con il cerino in mano, valuterà la salita al Colle, per poi tornare in Parlamento in vista della verifica di maggioranza. Quel Draghi che, solo martedì, diceva: “Il voto in autunno? Non commento scenari ipotetici, essendo uno degli attori in questa storia non è un giudizio oggettivo e distaccato, sono parte di quel che succede”. Lo “spettro delle urne” potrebbe essere allontanato anche da un rimpasto. Per un finale tragicomico della solita commedia all’italiana.


di Mimmo Fornari