martedì 5 luglio 2022
La sera tardi (e per vent’anni di fila) telefonavo a Gian Nicola Amoretti e, da inveterati nottambuli, chiacchieravamo di politica e delle cose da fare per quel mondo liberale e monarchico che per lui era l’anima non solo del centrodestra, ma dell’intera Nazione. Facevamo, come amava dire, il punto della rotta. Ieri sera, mentre ero sovrappensiero, dai meandri della memoria mi è riapparso per un momento l’impulso di chiamarlo e, non potendo più farlo, mi è venuta allora l’idea, o forse meglio l’esigenza, di scrivere, per parlarne, per fissarne il ricordo. Perché Gian Nicola Amoretti lo merita.
Storico, ricercatore e docente di Storia dei partiti politici nell’Università di Genova, giornalista e avvocato civilista, Amoretti ha in realtà dedicato tutta la sua vita, subito dopo la famiglia (legatissimo com’era alla moglie Carla e ai figli Umberto e Carlo), alla politica e alla causa monarchica. Da semplice attivista fino a diventare presidente dell’Unione Monarchica Italiana, sindaco di Rapallo, appartenente a una nobile famiglia molto legata alla storia locale, nella sua città era una istituzione e, conosciuto praticamente da tutti, nelle sue quotidiane passeggiate non c’era giorno che non venisse fermato da qualche concittadino per esporre problemi, chiedere consiglio o semplicemente per salutare come si fa con un vecchio amico.
La sua vita era un tutto unico, l’attaccamento al suo campanile era una sola cosa col suo patriottismo e uniformava tutte le sue azioni, come quando volle a Rapallo la realizzazione della “calata Durand De la Penne”, dedicata ad un uomo che, insieme ad Edgardo Sogno, aveva come esempio di virtù civiche e militari, oltre naturalmente al vero e principale punto di riferimento ideale che seguì per tutta la vita: Sua Altezza reale Amedeo, Principe di Savoia e Duca D’Aosta.
Era nato l’otto agosto del 1945 – ancora sotto il Regno D’Italia, ci teneva molto a rimarcare – ed era un liberal-cattolico (o un cattolico-liberale) di tinte fortemente conservatrici. Democrazia Cristiana, Partito Liberale o, negli ultimi anni, Alleanza Nazionale erano tutte forze compatibili con la Monarchia a cui sola andava la sua fedeltà assoluta. Politicamente assai simili, anche nelle sfumature, solo sul passato più lontano ci dividevamo, perché io mi consideravo e mi considero figlio della Rivoluzione Francese, lui assolutamente no. Io sono essenzialmente un liberale e, in quanto italiano, memore dell’immenso debito che ha la nostra Nazione nei confronti di Casa Savoia per l’Unità e la Democrazia. Lui era Monarchico sempre e comunque o se si vuole, per dirla proprio con le sue parole, lui era Monarchico e io “Sabaudo”.
Insomma, sapeva spaccare con ironia e acume il capello in quattro, il professor Amoretti. Sta di fatto che Gian Nicola riusciva molto spesso a insegnarti qualcosa, come quando mi delineò il concetto della “società organica” contrapposta allo “Stato organico”, concetto non banale che stava a significare una società in cui l’ordine si realizzava naturalmente e non per imposizione coercitiva dello Stato-padrone.
L’ironia disincantata a cui accennavo prima, era poi una sua costante e la esercitava nei confronti di tutti, anche con se stesso e non vi era argomento in cui non trovasse delle “verità minori” confuse e nascoste tra le maggiori, cosa che tutti gli storici dovrebbero sempre fare, ma che molto spesso non fanno, perché l’ideologia li rende talvolta selettivi solo agli argomenti che suffragano tesi preconcette, come Gian Nicola e il suo sodale di sempre, Marco Grandi, non avrebbero mai potuto fare e per temperamento e perché della scuola di Renzo De Felice.
Pragmatico e realista, come si deve in politica, che resta l’arte del possibile, fermissimo era però sui principi e la sua stella polare era una sola: la Monarchia e Casa Savoia nel ramo Aosta, a qualunque costo e a qualunque prezzo. Dopo un’iniziale conoscenza superficiale ai tempi della Gioventù Liberale (anni Sessanta) ci perdemmo un po’ di vista, anche perché io passai quasi vent’anni della mia vita all’estero per il mio lavoro di ricercatore in tutt’altro campo (la Fisica). E se talvolta fummo naturalmente presenti agli stessi avvenimenti, come i funerali di Sua Maestà il Re Umberto II ad Altacomba, lo fummo a insaputa l’uno dell’altro. Io andai tra la folla commossa con mia moglie, semplicemente obbedendo a un nostro impulso, lui era là tra gli organizzatori come presidente dell’Unione Monarchica.
Il nostro sodalizio nacque e immediatamente si rafforzò all’epoca del referendum di Mario Segni, che delineò tra l’altro il mio ritorno in politica, quando dopo un mio infuocato discorso sulla necessità di attestarci su posizioni di destra democratica mi avvicinò, ricordando l’antica conoscenza, per esprimermi il suo consenso. Da allora e per vent’anni abbiamo collaborato nell’Unione Monarchica, in Alleanza Nazionale e nel tentativo di un rinato Partito Liberale. E a lui devo grande riconoscenza per l’onore della conoscenza di Sua Altezza reale Amedeo e di suo figlio Aimone, per me eredi della più bella Tradizione italiana e anche di un giovanissimo suo vice destinato a succedergli, Alessandro Sacchi.
Gli devo le lunghe conversazioni su tanti aspetti della vita politica e sociale, la pazienza attenta con cui ascoltava le parti in divenire del mio libro sulla politica, il “De libertate”, (che infatti contiene all’inizio un ringraziamento a lui rivolto). Gli devo anche le semplici chiacchierate, dall’evolversi dei costumi alle nuove tecnologie, dalle morose alla buona tavola, a Roma o a Rapallo, dove ogni tanto mi convocava per qualche avvenimento. Una lunga storia di comune impegno civile, la nostra, che non abbiamo mai dubitato fosse da perseguire e che oggi ricordo qui, sulle pagine di quell’Opinione che riprende la testata che fu di Camillo Benso conte di Cavour, cosa che a lui sarebbe molto piaciuta.
Non manca solo alla sua amata famiglia, Gian Nicola Amoretti, ma anche a tutti coloro che lo conobbero e lo stimarono. Riposa in pace in quell’aldilà in cui credevi fermamente. Gian Nicola ti sia lieve la terra. E in noi resti sempre vivo il tuo ricordo.
di Giuseppe Basini