venerdì 20 maggio 2022
Anche la guerra in Ucraina conferma che la neutralità, ossia l’estraneità dei non belligeranti a un conflitto tra Stati, ha subito un radicale cambiamento, in conseguenza delle innovazioni al diritto internazionale, nel XX secolo. Prima lo Stato neutrale era (rigorosamente) imparziale nei confronti dei belligeranti. Tale imparzialità comportava il dovere di astenersi da ogni iniziativa tesa a favorire lo sforzo bellico (di uno) dei contendenti; a questo corrispondeva il diritto di non sopportare operazioni belliche – e il loro effetti – sul proprio territorio, sulla popolazione, sul commercio. Nel periodo tra le due Guerre mondiali e nel successivo la neutralità “classica” fu decisamente ridimensionata: in particolare, il divieto del ricorso alla forza, di cui allo Statuto dell’Onu ha eroso l’imparzialità dei neutrali, perché è loro consentito di aiutare l’aggredito e sanzionare l’aggressore. Pertanto, la tanto – e giustamente – discussa fornitura da parte degli Usa e di alcuni Stati dell’Unione europea di armi all’Ucraina (cui si aggiungono le misure antirusse) farebbero parte di questa innovazione al diritto internazionale. Ciò comunque comporta una diversa problematica, in relazione al diverso carattere della “guerra” moderna. Infatti, più o meno nel XX secolo, periodo in cui mutava lo status del neutrale, cambiava pure quello di guerra; l’ostilità, connessa strettamente alla volontà di imporsi, assumeva diverse forme, caratterizzate dall’assenza (e dalla drastica limitazione) dell’uso delle armi. Conflitti sì, ma disarmati.
Il libro dei bravi colonnelli cinesi Guerra senza limiti (da me spesso citato) ce ne fornisce ragione ed esempi. Gli autori scrivono: “Da questo momento in poi la guerra non sarà più ciò che è stata tradizionalmente. Il che significa che, se l’umanità non avrà altra scelta che entrare in conflitto, non potrà più condurlo nei modi consueti... Quando la gente comincia ad entusiasmarsi e a gioire... per la riduzione di forze militari come mezzo per la risoluzione dei conflitti, la guerra è destinata a rinascere in altre forme e su di un altro scenario, trasformandosi in un altro strumento di enorme potere nelle mani di tutti coloro che ambiscono ad assumere il controllo di altri paesi o aree”. Onde “la guerra che ha subito i cambiamenti della moderna tecnologia e del sistema di mercato verrà condotta in forme ancor più atipiche. In altre parole, mentre si assiste ad una relativa riduzione della violenza militare, allo stesso tempo si constata un aumento della violenza politica, economica e tecnologica... Se si riconosce che i nuovi principi della guerra non sono più quelli di “usare la forza delle armi per costringere il nemico a sottomettersi ai propri voleri”, quanto piuttosto quelli di “usare tutti i mezzi, inclusa la forza delle armi e sistemi di offesa militari e non-militari e letali non letali per costringere il nemico ad accettare i propri interessi”, tutto ciò costituisce un cambiamento: un cambiamento nella guerra e un cambiamento nelle modalità della guerra”.
Il problema, quindi, è vedere in tali contesti di guerra “non violenta” che significato assume la neutralità. In primo luogo, il neutrale in una guerra di aggressione è considerato se non un imbucato almeno un pilatesco. Certo, se si carica di significati morali una scelta politica, la conseguenza (per il neutrale) è proprio quella. Di essere neutrale tra bene o male, come gli angeli disprezzati da Dante perché rimasti neutrali nella lotta tra Dio e il diavolo. Ma a parte ciò, la neutralità in tempi di guerra condotta con mezzi non violenti (e non militari) finisce col perdere definitivamente – anche se non totalmente – l’imparzialità che la connotava nel diritto internazionale westfaliano. Nella prassi contemporanea l’imparzialità è stata ristretta alla neutralità militare, mentre la guerra è estesa a tutti gli aspetti della vita economica e sociale, dall’economico al giuridico, al morale e perfino allo sport, con il rifiuto di fare gareggiare gli atleti russi, e alla musica. Se questo possa portare alla pace è assai dubbio, perché l’unico caso di sanzioni efficaci nel secolo scorso fu quello contro il Giappone: ma ebbe, contrariamente alle aspettative, non l’effetto di portare alla pace, ma all’estensione della guerra. Di per sé, anche continuando – fortunatamente – il non ricorso a mezzi militari diretti, il carattere “neutrale” di una simile prassi non regge. E in effetti è esplicitamente rifiutato dalle continue condanne e sanzioni all’aggressore. Ma mentre le prime possono avere l’effetto di intensificare il sentimento politico antirusso (che è uno dei fondamenti della guerra tradizionale), dell’efficacia delle seconde è più lecito dubitare, dato che – solo per fare un esempio – le entrate della Russia dagli aumenti dei prodotti petroliferi superano di gran lunga il costo della guerra (almeno così si legge). D’altra parte, è stato notato da molti che l’assenza di un vero neutrale, almeno in Europa, è un inconveniente decisivo per mediare la pace. Questo perché spesso è proprio l’autorità di un terzo (realmente) neutrale che può provocare la pace o evitare la guerra.
Nel Medioevo già riusciva al Papa; nell’Europa moderna, e proprio dalla parte dove oggi si combatte fu Otto von Bismarck e il Reich tedesco nel congresso di Berlino (1878) presieduto del Cancelliere di ferro a farlo. Ma la pace fu possibile anche perché Bismarck e la Germania non erano diretti interessati alla sistemazione dei Balcani; anzi, disse che “i Balcani non valgono le ossa di un solo granatiere di Pomerania” per sintetizzare la propria realistica propensione alla pace. Non così si può dire dell’Europa contemporanea, che a quella pace ha interessi assai superiori a quelli del Reich. Purtroppo, non ha un Bismarck: come diceva il Cancelliere (dell’Italia) “ha un grande appetito ma dei pessimi denti”.
di Teodoro Klitsche de la Grange