La guerra cancella la Pasqua di Resurrezione

venerdì 1 aprile 2022


In tempo di guerra e dolore la morte irrompe come trama fiabesca con i suoi chiari e scuri, le sue grida e la sua soporifera ammaliazione. L’inevitabilità dei conflitti e delle perdite come orgoglio patriota esalta il fine vita – rispetto alla vita – e il dovere di morire come diritto a esistere. Le tivù rilanciano quotidianamente le immagini in bianco e nero delle città rase al suolo, fotogrammi di un tempo passato, coi corpi giacenti delle vittime, soldati dell’una e dell’altra parte, poi giovani, perfino bambini. È l’orrore della diretta, inevitabile, apostrofato storico, aggettivato come l’antisacro.

È il tempo della morte che vince sulla vita. La morte armata dalle potenze mondiali, vestita di missili, carri armati e armi micidiali, minacciata e contrattata ai tavoli delle trattative, gridata dalle madri disperate, ma assurta a metro delle politiche internazionali. Non la salvezza, la morte trionfa. E più morte più orgoglio, più resistenza. Ritorna l’onore combattente dell’aforisma di Publio Cornelio Tacito per cui “una morte onorevole è meglio di una vita disonorevole”. Non scuote le viscere il computo di corpi e una generazione cancellata. Perfino i civili allo stremo sotto i bombardamenti ai microfoni dei media becchini, coi volti scavati, ripetono “non cederemo, fino all’ultimo uomo”.

È il nostro tempo, che ha esautorato le riserve di bene, di misericordia e pietà. E in una nuova epica al contrario cerca il valore perduto col sacrificio umano della “bella morte di Ettore e Achille. Odi, rancori e giustizie affilate, mentre la vita è sommersa di virus, malgoverni, inflazione, violata in ogni suo lato, sfinita e logorata. La battaglia è l’aborto, la battaglia è il genere, la battaglia sono le derive di sangue e crimine. Morire è più lusso che vivere. Morire eleganti e composti è l’ultimo grido. È di questi giorni la notizia secondo la quale anche una icona del cinema mondiale come Alain Delon, 86 anni, pare abbia scelto il suicidio assistito, con un saluto terminale: “Vorrei ringraziare tutti coloro che negli anni mi hanno seguito e mi hanno dato un grande supporto”. Il figlio Anthony, in una intervista a una radio francese, ha confermato che il padre, che vive in Svizzera, medita l’eutanasia. In Italia la legge è in bilico, a un soffio dal possibile. Se così sarà, sceglieremo come trapassare, il colore della bara, i fiori, la cerimonia dell’addio. Polvere eravamo e polvere saremo disposti a tornare, tutto programmato. Perché morire soffrendo, scavati, se il destino quello è… andare? Tutto è viola, tetro e ultimativo. Riccardo Muti ha già definito il come: “Sono stanco della vita. Ai miei funerali non voglio applausi. Vorrei che ci fosse il silenzio assoluto”.

La politica degli ultimi anni è tutta improntata alla cultura della morte. Non so se le forze politiche se ne rendano conto. Essi esaltano e legiferano la fine. L’offerta ai giovani, con la tolleranza sulle droghe, il sessismo, la fine della famiglia, l’erotismo al posto dell’amore, oltre alle crisi economiche e occupazionali, è macabra. La letteratura è noir, violenta e micidiale. La speranza esala, si passa dai lockdown alla guerra spietata. Lo scenario mondiale è fratricida ed epiteti come “macellaio, assassino e criminale” diventano lignaggio presidenziale. Sono tornati Adolf Hitler e la Resistenza di partigiani, nazionalisti, nazisti e nazi-maoisti, i quali danzano l’ultimo atto della propria storia, mentre una lunga colonna di esuli celebre il funerale dell’umanità in città fantasma e cimiteri a cielo aperto.

Siamo in Quaresima. A breve sarà Pasqua. Ma potrà più essere una Pasqua di Resurrezione per una civiltà così precipitata? Quale sforzo le Chiese occidentali e orientali, russe, ucraine, cattoliche potranno mai fare? Chi sarà colui che risorge?


di Donatella Papi