Se Draghi chiama Putin

giovedì 31 marzo 2022


Per la prima volta dall’inizio della guerra Mario Draghi chiama Vladimir Putin. Se solo, lui e gli altri, avessero dedicato 1/10 del tempo e dei soldi spesi per armi e sanzioni (che fanno peggio a noi che alla Russia) a cercare, invece, ogni via per mettere al tavolo negoziale i due belligeranti non saremmo dove siamo oggi. Facendo finta che la guerra sia iniziata in queste settimane e non già da, almeno, l’epoca dei fatti di Maidan e della autoproclamazione delle repubbliche separatiste. Invece di cercare improbabili condanne dell’Onu, ben sapendo che, nel palazzo di vetro, la Russia ha insormontabile potere di veto. Invece delle episodiche telefonate di circostanza all’autocrate russo, che i nostri leader europei svogliatamente fanno, quasi a dimostrare che no, non c’è altra via che quella, grondante sangue, dell’illusione di sconfiggere sul campo e spodestare Putin, essi si sarebbero dovuti precipitare presso ogni cancelleria mondiale per far fare pressioni sull’aggressore.

Anche presso i governanti di quei Paesi che, non avranno “le vesti immacolate” dei nostri democratici leader, ma rappresentano quasi la metà della popolazione mondiale e che sono rimasti neutrali, come Cina e India. Invitarli a promuovere il dialogo, invece di minacciarli anticipatamente, se si permettono di aggirare le sanzioni occidentali. E non spostarsi dalle loro porte fino a che ciascuno di essi si faccia interprete della necessità di far tacere le armi. Ma davvero l’unico che possa svolgere questo ruolo è la Turchia dell’altro improbabile pacificatore, Recep Erdoğan? Ma davvero il socio forte del patto Atlantico, e il suo, pericolosamente rimbambito, presidente, hanno a cuore la pace nel Continente europeo?

Se sì, perché non hanno prevenuto l’insorgere della crisi che cova sotto la cenere da quasi dieci anni? E oggi, invece di continuare a proferire minacce e insulti –  utili solo ad aumentare tensione e incomunicabilità –  non spingono essi per primi, la via negoziale? Gli antipacifisti che ieri incendiavano le piazze al grido sessantottino di “Amerikans go home”, oggi, imborghesiti e imbolsiti, fanno il tifo per la continuazione della carneficina in nome del nuovo furore ideologico, Deus vult, della “guerra giusta”, nel tepore dei loro salotti, riscaldati con il gas comprato dal vile aggressore, oggi in euro, domani in rubli. Per questo non si indignano, né provano vergogna.


di Raffaello Savarese