venerdì 18 febbraio 2022
Nella solita confusione mediatica e nell’approssimativa disinformazione, connotata dalla demagogica superficialità di slogan giornalistici o da politicanti, si sviluppa una narrazione dei fatti deformata e non corrispondente alla realtà, millantando un sedicente progresso che agli atti occulta surrettiziamente pericolosi interessi di lobby multinazionali e che, altresì, potrebbe generare delle azioni giudiziarie a danno dell’impresa e della tutela della proprietà privata, con uno Stato sempre più invadente riguardo ai nostri affari privati. Questo bieco e squallido modus agendi si è reiterato in modo apodittico nell’attuazione della revisione di legge costituzionale degli articoli 9 e 41 della Carta costituzionale, riguardo a una falsa tutela ambientale.
A volte sembra che gli italiani cadano in una sorta di oblio della memoria, sembra come se dimenticassero i contenuti della propria Costituzione, al punto da gioire quando gli viene raccontato che “finalmente” sono stati inseriti nella Carta dei principi innovativi e di progresso che fino a quel momento erano assenti. Per dimenticanza (volendo essere ottimisti) o per spregevole ignoranza (volendo essere realistici) gli italiani omettono completamente che quei principi già esistono e sono tutelati all’interno della Costituzione e sono addirittura sanciti tra i principi fondamentali che la compongono.
Nel merito della questione sottoposta all’attenzione, merita citare la fonte primaria da cui deriva la normativa vigente in Italia, mi riferisco nello specifico all’articolo 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, solennemente proclamata dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione europei a Nizza il 7 dicembre del 2000 (per questo motivo detta “Carta di Nizza”) e pubblicata in Gazzetta ufficiale della Ue il 18 dicembre del 2000, la quale a sua volta è stata sostituita con la versione aggiornata del 2009, tramite l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Il succitato articolo 37, con il titolo “Tutela dell’ambiente”, stabilisce “un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione europea e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile” e a questo dettame hanno dovuto ispirarsi tutte le legislazioni dei Paesi membri. Da un’analisi attenta e approfondita della Costituzione italiana, si evince che questa sensibilità e tutela per l’ambiente sono già sedimentate e radicate nella sua struttura portante e nei suoi principi fondamentali. Non a caso, al secondo comma dell’articolo 9 già è affermato (prima di questa sedicente “innovativa” e tanto decantata riforma costituzionale) che la Repubblica italiana “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
In questo comma anzidetto, secondo una lettura più avanzata, per il legislatore, il significante “paesaggio”, oltre a intendere il complesso delle bellezze naturali di significativo valore estetico e culturale, si identifica con l’ambiente, ossia con “le parti del territorio i cui caratteri caratteristici derivano dalla natura, dalla storia e dalle reciproche interrelazioni” tra gli esseri umani. Dunque, anche in virtù dell’articolo 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della Convenzione europea sul Paesaggio, adottata dal Consiglio europeo con la sua sottoscrizione avvenuta il 20 ottobre del 2000, è sorta nel legislatore italiano una sensibilità ambientale che lo ha portato ad avere una visione dinamica del territorio, emanando un serie di leggi che disciplinano i singoli settori ambientali, concependo l’ambiente come un bene fondamentale e per questo meritevole di ricevere attenzione da un Governo consapevole e orientato ad armonizzare le trasformazioni derivanti dai processi di sviluppo sociale, economico e ambientale, proprio come previsto dalla Convenzione europea sul Paesaggio.
Questo cambiamento significativo nella tutela dell’ambiente ha portato il legislatore a emanare il decreto legislativo del 3 aprile del 2006 numero 152 (Codice dell’Ambiente), disciplinando tale tutela con l’istituzione di principi fondamentali in materia di prevenzione, sviluppo sostenibile e responsabilità diretta di coloro che inquinano l’ambiente. Perciò con questo comma si è voluto tutelare indistintamente ogni bene e valore rilevanti per la Costituzione nel rapporto uomo-natura.
A conferma di quanto finora esposto, molto spesso la stessa Consulta ha fatto riferimento al citato comma per costituzionalizzare il valore dell’ambiente, nel suo significato fondamentale di bene primario (sentenza 641 del 1986) e assoluto della Repubblica (sentenza 641 del 1987), a cui sono collegati sia interessi sanitari e naturalistici e sia interessi culturali, ricreativi ed educativi, proprio per palesare che l’ambiente non è considerata una semplice res, bensì una risorsa primaria. Dopo questa esposizione illustrativa si deduce che lo Stato di diritto italiano non ristagnava in una torbida e primitiva concezione di cinica indifferenza verso la tutela ambientale.
Nonostante quanto finora esposto, per usare un eufemismo, “l’ingenua” opinione pubblica, come incantata da una favola pari a quella di “Alice nel paese delle meraviglie”, si auto-suggestiona perché crede che, grazie all’approvazione alla Camera dei deputati da parte dei due terzi dei suoi componenti, in seconda deliberazione, del disegno di legge di riforma costituzionale, avvenuta l’8 febbraio del 2022, dopo che il Senato l’aveva già approvato con doppia deliberazione, in Italia finalmente per la prima volta si tutela costituzionalmente l’ambiente come se ciò non fosse già accaduto. La “grandiosa” e “innovativa”, nonché “illuminante” riforma costituzionale del Ddl in questione si declina in tre articoli: l’introduzione di un nuovo comma nell’articolo 9 della Costituzione, la modifica dell’articolo 41 della Costituzione e, in finale, l’introduzione di una clausola di salvaguardia per l’applicazione del principio di tutela degli animali.
Nel merito delle modifiche costituzionali, all’art 9 viene inserito il comma “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Per inciso, risulta alquanto esilarante che si faccia un esplicito riferimento all’interesse delle future generazioni, in una nazione, quale l’Italia, in cui il tasso di natalità è andato progressivamente scomparendo (meno di 400mila i nati nel 2021), forse allude ai futuri clandestini che insieme a quelli già presenti compenseranno il drammatico calo demografico italiano, grazie soprattutto alle “lungimiranti” politiche per la famiglia e per incentivare le nascite. Perciò, in questo comma costituzionale viene per la prima volta introdotto il riferimento esplicito e generico agli animali, prevedendo una riserva di legge per il legislatore, allo scopo di definire le forme e i modi di tutela. Qui la domanda nasce spontanea, dal momento che il legislatore ha sentito l’esigenza di citare in modo esplicito, ma generico, la tutela degli animali: a quali si riferisce? Perché, nella sua genericità e vaghezza espositiva, nella categoria degli animali rientrano anche i moscerini, le zanzare, i topi, gli scarafaggi e quant’altro. Quindi chi in autostrada si troverà sul vetro della macchina dei moscerini schiacciati potrà incorrere in qualche illecito, d’estate potremmo incorrere nell’imputazione di “genocidio” utilizzando degli insetticidi contro le zanzare o le mosche?
La riforma costituzionale assume dei tratti inquietanti soprattutto in riferimento alla libertà dell’iniziativa economica privata, sancita nell’articolo 41 della Costituzione, dal momento che il legislatore ne ha modificato il secondo comma, il quale statuisce che la succitata iniziativa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, con l’aggiunta, nella posizione che precede i termini “alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, dei vocaboli “alla salute, all’ambiente”.
Inoltre, al terzo comma dello stesso articolo costituzionale, al dettame “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” aggiunge l’espressione “e ambientali”. Se la Costituzione fosse un’opera letteraria o poetica, potrei comprendere la tautologica esplicazione di significanti il cui significato è già compreso in termini già citati, in funzione di arricchimento lessicale dell’eloquenza del testo, allora potrei comprenderne il senso, ma dal momento che parliamo della fonte primaria del nostro diritto, su cui si basa la conseguente legislazione, urge porsi delle domande su quali conseguenze giuridiche potrebbero determinare queste modifiche costituzionali.
Altresì, questa riforma aumenterà le istanze di tutela di innumerevoli specie di fauna (scarafaggi compresi), ma l’aspetto ancora più aberrante, determinerà un’ulteriore facilitazione per coloro che provengono da zone del mondo colpite da sconvolgimenti climatici, che di conseguenza potranno chiedere il riconoscimento di rifugiato, come se l’Italia non fosse già oberata per essere diventata una specie di zona franca per tutti gli immigrati clandestini, grazie alle politiche fallimentari di contenimento dei confini da parte dei nostri politicanti e grazie alla reiterata indifferenza della tanto “solidale” Unione europea.
Per di più, il legislatore, essendo titolare di una riserva di legge costituzionalmente sancita, potrà – con l’approvazione della maggioranza del Parlamento – intervenire in modo draconiano sulla gestione della nostra proprietà privata immobiliare, imponendo in modo invasivo degli adeguamenti strutturali per la sedicente tutela ambientale, costi che andrebbero a ripercuotersi sulla già provata e precaria stabilità economica delle famiglie e dei cittadini italiani, magari con il “ricatto” di prevedere delle sanzioni pecuniarie qualora questi adeguamenti non venissero eseguiti e magari inducendoli a vendere o peggio ancora a svendere a colossi di multinazionali immobiliari, sempre più fameliche e invadenti nella loro conquista del mercato immobiliare italiano.
La stessa riserva di legge costituzionale metterebbe il legislatore nelle condizioni di intervenire in modo invasivo nella gestione delle imprese private, ovviamente sempre a tutela dell’ambiente e dell’attuazione della transizione ecologica, a cui l’Ue ha vincolato l’erogazione dei fondi per il Pnrr, causando di conseguenza il loro fallimento, come abbiamo già potuto constatare con la legiferazione delle restrizioni incostituzionali governative a danno della libertà di circolazione ed economica e quindi d’impresa, attuate con la giustificazione della presenza della pandemia.
Le stesse politiche per attuare in modo repentino e forzatamente questa “salvifica” transizione ecologica stanno mettendo a repentaglio interi settori industriali e produttivi, minando la sopravvivenza di diverse imprese e di conseguenza di molteplici posti di lavoro, nonché di tutti gli indotti derivanti, oltre al fatto che sta portando verso una deriva esiziale numerose piccole e medie imprese, a vantaggio “stranamente” delle solite multinazionali.
Una Costituzione, per antonomasia, in un’accezione razionalista evoluzionista (ossia veramente liberale) e non costruttivista, dovrebbe prevedere norme astratte e generali e non particolari, altrimenti diventerebbe uno strumento per realizzare soprusi legislativi a danno delle libertà individuali. In una nazione in cui l’inflazione normativa ha determinato l’inefficienza dello Stato di diritto, si dovrebbe porre l’attenzione nel far rispettare i principi fondamentali e inviolabili già sanciti nella Costituzione, anziché preoccuparsi di appesantirla con ambigui cavilli, che possono diventare la fonte normativa di mostruose leggi illiberali.
“Impia sub dulci melle venena latent” (Ovidio,“Amores”)
di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno