giovedì 17 febbraio 2022
Lo vogliamo ammettere? Il nostro è un Paese che ha paura, che teme le “novità” soprattutto in materia di diritti civili e personali. C’è chi attribuisce queste paure verso il “nuovo” alla presenza sul territorio nazionale dello Stato Pontificio che non ha mai smesso di interferire (più o meno velatamente) su ciò che deve essere legiferato in Italia: il caso più recente è quello del cosiddetto “Ddl Zan” finito, e chissà per quanto tempo, nei cassetti più reconditi del Parlamento. E oggi tocca al referendum sul suicidio assistito (che, è bene ricordarlo, ha raccolto le firme di più di un milione e 200mila cittadini) che la Suprema Corte ha ritenuto non ammissibile. E, guarda caso, la decisione ha ricevuto anche il plauso della Conferenza episcopale.
Naturalmente sono state parecchie le reazioni alle scelte adottate dall’organo presieduto da Giuliano Amato, ma ritengo che la più indecente (mi scuserà l’interessato) sia quella del segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, che su Twitter ha scritto: “La bocciatura da parte della Corte costituzionale del referendum sull’eutanasia legale deve ora spingere il Parlamento ad approvare la legge sul suicidio assistito, secondo le indicazioni della Corte stessa”.
Sarà per la lunga permanenza in terra francese, ma (come ha già ricordato qualcuno) la battaglia per l’eutanasia legale è da diversi lustri che “gira” in Parlamento tra proposte di legge, sentenze e appelli di fronte ai quali il Palazzo ha praticamente fatto finta di nulla. Invece si continua un po’ ipocritamente a definire “vita” quella trascorsa attaccati a dei macchinari, che prolungano la sofferenza di chi non ha più speranze di “rinascere”.
Ha dichiarato Marco Cappato, promotore della raccolta firme: “I vertici dei partiti sono stati zitti, sperando che la Corte costituzionale togliesse le castagne dal fuoco. Da destra a sinistra, e soprattutto a sinistra, non hanno speso una parola sul referendum. Spero che ora siano in grado di dimostrare di saper fare non una qualunque legge, ma una buona legge”. Insomma, la politica teme di decidere ma accetta (apparentemente volentieri) qualsiasi tipo di condizionamento.
di Gianluca Perricone