Trovarsi lavoro alla Draghi: l’uno e la moltitudine

martedì 15 febbraio 2022


Il lavoro me lo trovo da solo”, Mario Draghi dixit. Certo, considerato il suo curriculum, quale grande istituzione finanziaria privata non vorrebbe al suo vertice l’ex Governatore della Banca centrale europea? Tuttavia, astraendo dalle sue enormi potenzialità individuali (che solo l’età da… nonno può condizionare), vedendo la cosa dal punto di vista confuciano ne viene fuori la solita questione del Dolmen egoico che, più o meno, come l’Obelisco Asterix/Obelix, ognuno di noi si porta dietro per tutta la vita, ma con dimensioni relative molto variabili. Quasi zero, come altezza e peso specifico, per i santi; gigantesca, invece, per quelli come Vladimir Putin, Donald Trump e, forse, anche per Mario Draghi. Invece (sarà forse per questo che la Cina sta sorpassando l’America?) confucianamente l’Uno è nulla senza l’Altro/gli Altri (“Non Io senza di Loro”) essendo ciascuno di noi, come massima sintesi divina, contemporaneamente moltitudine al nostro interno, tante quante sono le facce di Dio.

In secondo luogo, le capacità intellettuali (di cui l’istinto politico, il carisma, l’empatia sono componenti fondamentali) non coincidono con skill e abilità tecniche, perché in generale i relativi modelli operano nel simbolico e nel metafisico, che per l’umanità è importante quanto il pane benedetto. Invece, è vero che esiste un Potere globale “Tecnico”, come quello del Dio Denaro immanente e onnipresente: tra l’altro l’unico dio inventato dagli uomini che si tocca con mano!

Sarà allora per questa ragione che, per chi sa gestirlo e moltiplicarlo a livello planetario, il Potere si concentra tutto nel sovranazionale (la Moneta è globale e anonima), con pochissimi margini di manovra a disposizione degli eletti, rappresentanti del popolo. La battuta (un po’ risentita, per la verità) di Mario Draghi, si potrebbe allora controbattere con l’evidenza dei fatti, i quali dicono che, finora, il Datore di lavoro per quanto lo riguarda sono state le Istituzioni. Questo perché istituzionali sono le posizioni di presidente del Consiglio dei ministri, e prima ancora di governatore della Banca centrale europea, per giungere a ritroso a Bankitalia e alla Direzione generale del Tesoro. Quindi, nei casi degli incarichi citati, com’è del tutto ovvio, è stata la politica italiana, attraverso la scelta responsabile dei suoi leader che hanno visto lungo in termini meritocratici, ad aver scelto Draghi per le posizioni di vertice più prestigiose in seno alle principali istanze, nazionali internazionali, delle istituzioni bancarie. Ora, un suo eventuale ritorno al passato, come dipendente ad altissimo livello di una Banca d’affari sul tipo di Goldman Sachs, suonerebbe per gli scettici e i complottisti una conferma del fatto che le democrazie occidentali sono soltanto dei burattini nelle mani dei mitici Poteri forti mondiali, di cui la finanza speculativa internazionale è il Dominus incontrastato.

Né, d’altro canto, si può negare che la battuta mal si concili con dichiarazioni pubbliche di segno opposto, come l’essersi Draghi stesso dichiarato disinteressatamente al servizio per il bene della Nazione, delle sue istituzioni e dei suoi cittadini. Principio, del resto, su cui si è fondata la scelta di un anno fa del rieletto presidente della Repubblica, quando ha chiamato al Quirinale Mario Draghi per conferirgli l’incarico di guidare il Governo. Il vero problema, in realtà, è un altro: ovvero, l’impossibilità conclamata di cambiare la testa e la sostanza della politica italiana e, quindi, di calare dall’alto i processi di riforma, come dimostra da molto tempo lo stato di malessere profondo di un sistema politico-parlamentare avvitato su se stesso. La sensazione, quindi, è quella che si stia assistendo all’accensione della pira che consumerà presto anche l’esperienza riformatrice e salvifica di Mario Draghi. Il Paese necessita di riforme istituzionali profonde e incisive, per essere modernizzato sia socialmente che tecnologicamente ma, come Draghi stesso ha potuto verificare in questi mesi di Governo, attualmente manca il consenso politico per farlo, soprattutto nei confronti della liberalizzazione della concorrenza, come quella voluta dalla direttiva Bolkestein e continuamente rinviata nell’applicazione delle sue parti più significative, cosa che oggi fa dell’Italia una sorta di Paese del socialismo reale.

Questo perché la partitocrazia gioca da sessanta anni a questa parte a costituire riserve elettorali di clientes attraverso pratiche che non hanno riguardo per il bene pubblico, privilegiando la dinamica delle rendite di posizione. Da qui nasce l’utilizzo sistematico di immense risorse pubbliche per usi clientelari, come le assunzioni nel pubblico impiego locale e centrale; i sussidi, la pioggia di bonus e il reddito di cittadinanza che vanno a gravare sul vertiginoso aumento del debito pubblico. Ed è proprio questa micidiale macchina della ricerca del consenso elettorale a far fuori sistematicamente gli uomini migliori del Paese, e contro la quale anche un Colosso di Rodi come Draghi rischia di perdere la sua spinta riformatrice, dato che le norme relative debbono poi passare al vaglio del Parlamento condizionato dai Partiti e dall’imminente voto elettorale. Questo perché tutte le rendite parassitarie e le disfunzioni, che gravano per molte decine di miliardi all’anno di sprechi di risorse pubbliche, si annidano proprio nei sistemi inceppati e impossibili da riformare come quelli della Giustizia, della Pubblica amministrazione, della Fiscalità e degli assetti sconclusionati dei poteri locali, soprattutto regionali.

Del resto, mentre la guida di una Banca centrale è, in fondo, monolitica e monotematica, al contrario la direzione politica di un Paese o di una Federazione di Stati è governata dalla complessità, che mal si presta all’eterodirezione. Ma, poiché una risorsa come Mario Draghi non può essere consumata dalle politiche machiavelliche e inconcludenti della politica attuale italiana, allora davvero occorrerà che per lui qualcuno gli trovi e proponga l’ennesimo, ancora più prestigioso incarico istituzionale, non appena si tratterà di avvicendare Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea. Chi meglio di Draghi può essere, infatti, indicato al suo posto, per aver stazionato a lungo a Francoforte e lavorato fianco a fianco con Angela Merkel? Ed è lui, obiettivamente, ad avere l’unico profilo spendibile per sostituire l’ex cancelliera nel ruolo guida di un’Europa che non può essere solo dei mercanti, ma che ha assolutamente bisogno di qualcuno che conosca molto bene le leggi della moneta e della finanza globalizzata, per mantenere il timone dell’Europa nella direzione giusta. Insomma, dopo Draghi c’è solo Draghi!


di Maurizio Guaitoli