martedì 8 febbraio 2022
Chi sono in Italia i vincitori del secolo? Lo statalismo e il localismo, responsabili di un drammatico, irrecuperabile Geographical divide tra Nord e Sud. Due realtà socio-politiche agli antipodi, queste ultime, per cui chi nasce nell’uno e nell’altro “emisfero” non è un cittadino come tutti gli altri. I nordisti avranno, infatti diritto a un livello medio di vita ben più elevato dei loro fratelli sudisti, per qualità, quantità e densità distributiva dei servizi pubblici, da un lato, e per l’estensione, dall’altro, di una rete diffusa e capillare di imprese grandi, medie e piccole presenti sul relativo territorio (in base a una dinamica con saldo positivo tra creazione/cessazione di attività aziendali), che fanno del Nord una comunità coesa, benestante e mediamente ben amministrata. A distanza di quindici anni da quando, nell’aprile del 2008 (attenzione alla data!) questo giornale pubblicava analisi politiche sui rischi di un forte aumento del divario Nord-Sud, come quella dal titolo significativo “Federalismo o Localismo?”, nulla di sostanziale è accaduto. Tragicamente, infatti, invece di interventi drastici per recuperare quel gap, si è assistito a una guerra di parole tra destra e sinistra italiane con un nulla di fatto.
A dimostrazione di tale fallimento, l’espertissimo meridionalista progressista Isaia Sales si accorge (vedi il suo intervento su La Repubblica dal titolo “L’ingiustizia di luogo”) come sia costituzionalmente insostenibile la disparità di trattamento tra cittadini, in funzione del locus dove una persona nasce, vive e lavora. Le riforme Bassanini degli anni Novanta, in questo contesto, sono costate care al Paese, in termini di duplicazione delle funzioni e moltiplicazione della spesa pubblica. Per di più, a partire dalla fine degli anni Settanta, la creazione di 20 fameliche burocrazie regionali ha sottratto enormi risorse al buon funzionamento dei servizi pubblici locali. Da un lato, infatti, è esplosa (volutamente, per motivi clientelari) la spesa per il personale, dato che non si è mai provveduto ad attuare le leggi sul decentramento, in base al sacrosanto principio di sussidiarietà. D’altra parte, per incapacità o opportunismo (o forse entrambi) nessuno a suo tempo ha pensato in modo sistemico sul come evitare i rischi di diseconomie di scala, conseguenti alla distribuzione geografica delle competenze, dal centro alla periferia. Per di più, i profili oggi esistenti per il mansionamento e l’attribuzione di funzioni direttive e dirigenziali ai dipendenti assunti sono del tutto anacronistici, e persino dannosi, inutili e inservibili, nel caso dell’attuazione del Pnrr che necessita di ben altre professionalità, introvabili negli apparati amministrativi locali!
Sappiamo bene, infatti, come da mezzo secolo un malcelato senso di autonomia renda l’Ente territoriale impenetrabile a controlli centrali, rispetto alle nuove funzioni che gli sono state attribuite per “quota-parte” dallo Stato. Questo provoca un serio pregiudizio di fallimento nazionale a carico di chi, oggi, dirige la cabina di comando del Piano nazionale di ripresa e resilienza, o Pnrr, a seguito della distribuzione di non poche decine di miliardi di euro agli Enti locali per la realizzazione dei progetti decentrati, in base alle milestone e agli obiettivi approvati da Bruxelles. Questo serio rischio di default non è che una conseguenza dell’assenza di uno strumento normativo, che consenta di procedere centralmente a controlli trasversali e comparativi di risultato e al contenimento/diminuzione globale della spesa pubblica relativa. Una misura, quest’ultima, concepibile come una sorta di commissariamento (ad hoc su singole procedure o su di un complesso di esse) in cui i commissari operano per team interdisciplinari e sono adeguatamente assistiti da risorse qualificate del privato, adeguatamente remunerato con contratti a tempo, vincolati alla tempistica e alla qualità dei risultati raggiunti. Team che dovrebbero essere chiamati a operare in base a un coordinamento geografico amministrativo pari almeno alle ex circoscrizioni provinciali.
L’inadeguatezza assoluta della macchina amministrativa locale a provvedere, per quota-parte, alla realizzazione dei vari step del Pnrr deriva in sostanza proprio da quella spaccatura drammatica Nord-Sud, che si manifestò fin dall’inizio della creazione dello Stato unitario, definita come “geographical divide”. A causa del quale, di fatto, l’uguaglianza costituzionale dei cittadini è svuotata di senso, al pari della “obbligatorietà dell’azione penale”, impossibile da realizzare, come tutti ben conosciamo. Anche oggi, chi nasce al Sud non ha minimamente le stesse chance di partenza, rispetto a un suo “gemello” del Nord. Basti pensare alle dinamiche occupazionali, ai livelli di prestazione di servizi pubblici essenziali, come sanità, trasporti, ambiente urbano e sicurezza in cui il Sud brilla per la sua costante arretratezza. Allora, è giusto chiedersi: che cosa vorrebbero i cittadini, per vedere uscire questo Paese dall’attuale crisi? Una cosa fra tutte sarebbe la più importante e interessante (visto che dietro questo aspetto si celano i più grandi sprechi del mondo di denaro pubblico, vedi gestione delle municipalizzate e delle attività in house degli Enti territoriali): poter “dare i voti”, bocciando o promuovendo realmente amministratori pubblici, rispettivamente, incapaci o meritevoli!
In questo Paese, parlando degli enormi guasti che la politica arreca all’organizzazione della Pubblica amministrazione (locale e centrale), non esiste un “Osservatorio generale” centralizzato e super partes, diretto da un “General controller”, che svolga le funzioni inedite di magistrato per la supervisione dell’organizzazione amministrativa pubblica, con forti poteri di sanzione e revisione per la verifica dei risultati e delle prestazioni delle Pubbliche amministrazioni, locali e centrali. Un giudice unico, quindi, in grado di operare un esame comparativo tra le diverse realtà, affermando un potere cogente di doversi adeguare a modelli standard più evoluti, da parte delle Amministrazioni meno efficienti. Lo spreco di risorse pubbliche dovute alla disamministrazione, alla scarsa efficienza e al disimpegno sul lavoro (causate anche dall’esistenza di una pletora di profili anacronistici e del tutto inadatti a fronteggiare l’attuale complessità organizzativa delle imprese pubbliche), non può passare impunito. Serve un sistema di incentivi/sanzioni che premi le realtà organizzative che funzionano bene e costano poco, a parità di servizi pubblici resi.
Qualunque aspetto organizzativo della macchina pubblica che crei distorsioni nella concorrenza (appalti pubblici) e grave disamministrazione nella resa dei servizi al cittadino deve essere immediatamente commissariato nelle sue funzioni amministrative (e non politiche!) operative, perché non può essere ammesso nessuno spreco di risorse pubbliche finanziarie, umane e strumentali! Anche l’organizzazione amministrativa delle giurisdizioni giudiziarie “deve” rispondere dei suoi risultati, in termini di costi e di efficienza/efficacia. Siamo la pietra dello scandalo in Europa, per l’assurda durata dei processi! Nonostante che il rapporto magistrati/popolazione sia da noi più elevato che negli altri Paesi! È bene ricordare che i magistrati “sono” funzionari pubblici, quindi assoggettabili a un giudizio di merito sui risultati raggiunti e sulle prestazioni rese.
Un General controller deve poter fare una verifica di secondo grado sui risultati dell’attività dei dirigenti, sulla base della “Customer satisfaction”, utilizzando poteri incisivi di verifica (come l’accesso a tutti gli atti amministrativi anche riservati; la sospensione dallo stipendio e dalle funzioni per gli impiegati e funzionari incapaci o infedeli; l’obbligo di rimodulazione organizzativa dei servizi interni ed esterni imposto ai dirigenti amministrativi di settore), per assicurare risposte puntuali alla cittadinanza che lo interroghi in merito alle “performance” degli uffici pubblici, sul tipo di obiettivi attribuiti, alla loro congruità (rispetto alle aspettative dell’utenza) e al relativo grado di raggiungimento. Perché, poi, solo l’aumento del livello della customer satisfaction e le economie di bilancio rappresentano gli obiettivi veri di perequazione Nord-Sud e del miglioramento di qualità/efficienza dei servizi pubblici. Vi sembra equo?
di Maurizio Guaitoli