domenica 6 febbraio 2022
Mi consideravo un sostenitore della ministra della Giustizia Marta Cartabia ma, dopo la sua relazione al Parlamento, ho cambiato idea. Un profluvio di affermazioni solenni, ma dietro di esse il vuoto di una giustizia piegata e di un carcere che continuerà ad essere votato alla sofferenza, facendo strame della dignità umana, detenuta e detenente. Ho percepito il prevalere di una visione dell’organizzazione burocratica, probabilmente suggerita dall’inamovibile think tank di cui è circondata, a favore del gigantismo degli uffici centrali, mentre inascoltata rimane la domanda di soccorso della periferia giudiziaria e, per quel che so, di quella penitenziaria. Soltanto qualche anno fa, ed i nomi dei ministri sono in calce ad ogni provvedimento, si intervenne con feroci tagli di personale, accorpando, con piglio colonialista, intere regioni, e rinunciando, così, ad assicurare un maggior monitoraggio degli istituti penitenziari, al fine di armonizzare verso livelli alti di qualità le condizioni carcerarie; le cronache degli ultimi anni ne sono la dimostrazione patente.
Direttori prossimi alla pensione sono, ancora oggi, responsabili di due, tre, quattro e forse più carceri; non poche volte in sedi fuori regione rispetto a quella ordinaria. Pure ove si muovessero con la telecinesi, non potranno mai intervenire tempestivamente e contemporaneamente su più fronti, in caso di emergenze e di situazione di criticità. Come ormai sta divenendo prassi, gli istituti saranno governati, con una sorta di delega in bianco tollerata “in alto”, dalla sola componente penitenziaria di polizia, con tutto ciò che questo può evocare come legalità e rispetto dei diritti umani. Ovviamente in contrasto con le regole penitenziarie europee. Su tale esiziale problematica, nulla di concreto è emerso dalla relazione di maniera, mentre invece occorrerebbero soluzioni “urgentissime” e davvero straordinarie (al netto di eventuali provvedimenti clemenziali “salva faccia” dello Stato di diritto), sia per rimpinguare, a vista, il ruolo dei direttori penitenziari, sconosciuto nella sua relazione, nonché quello degli specialisti dell’osservazione e del trattamento: tutti operatori indispensabili per la profilazione dei soggetti detenuti, al fine di ridurre il numero di possibili errori di valutazione nell’esame scientifico della personalità del ristretto.
“Dimmi quali ingredienti metti nell’impasto e ti dirò se è un dolce o un rustico salato: dimmi quali componenti professionali risultino assolutamente prevalenti in un carcere e ti dirò se quello è un luogo di soccorso e di recupero delle persone detenute, oppure è una forma più evoluta dei campi profughi libici, che pure finanziamo, o un ricalco di Guantanamo”. A dimostrazione il recente Pcd (Provvedimento del capo del dipartimento) 30.12.2021, ove si dispone la costituzione di un gruppo di lavoro per la bozza di regolamento di riorganizzazione del Dap, prevedendo la Direzione generale per le specialità del Corpo della polizia penitenziaria e la Direzione generale dei servizi tecnici e logistici. Chi abbia un minimo di conoscenza dell’amministrazione, tradurrebbe questo come una ulteriore idrovora che sottrarrà dalle carceri altro personale del Corpo, di ogni ruolo, ivi compreso quello dei dirigenti della polizia penitenziaria che sta crescendo a dismisura, a causa degli automatismi di carriera, rispetto a quello, ormai De cuius, dei direttori penitenziari. La Ministra prevede, perfino, la costituzione di un ulteriore dipartimento, “per la transizione digitale e la statistica”. Sarebbe da chiedersi come finora abbiano fatto e se non si sarebbe potuto provvedere, in un’ottica di reale risparmio, visto che i fondi europei non sono eterni, reingegnerizzando le attuali direzioni generali del Ministero, senza però aumentarne il numero.
E poi, sul numero strabiliante di appellati “giuristi” che stanno per giungere, ben 8171, spacciando l’idea di un personale già pratico di cose di giustizia, che affiancheranno i magistrati, cosa accadrà quando, semmai, si scoprirà che agli stessi non si sia stati in grado neanche di fornire uno spazio dignitoso dove operare, forse neanche una seggiola a norma, ai sensi del Decreto legislativo n.81/2008, nonché gli strumenti di lavoro, come i pc, se non sottraendoli, per poco tempo o per sempre, al personale già in forza che operava con il cosiddetto “lavoro agile”? Afferma inoltre, come se fossero davvero assiepati fuori alla porta, l’arrivo di cospicuo contingente di tecnici (ben 5.410), che dovrà supportare l’Ufficio per il processo nei suoi compiti di data entry, di rilevazione statistica e di analisi organizzativa, e altri compiti di supporto dell’azione gestionale dei vertici giudiziari e amministrativi degli uffici: per favore, prendetene nota! Sembra, dalle sue parole, quasi non conoscersi la complessità di una macchina amministrativa ministeriale, affetta da bulimia di provvedimenti “in house”, spesso disorganici, che sembrano voler perseguire una sorta di colpa d’autore, da intestare d’ufficio alla generalità dei pubblici dipendenti, non poche volte descritti, dai Soloni del nulla, come “scalda-sedie” e “fannulloni”, risultando ormai definitivamente rovinata un’architettura organizzativa che era, paradossalmente, più efficiente e solida con il vecchio Dpr 10 gennaio 1957 n. 3., il cosiddetto “Statuto sul pubblico impiego”.
E né convince, per il contrasto alle patologie più gravi e finanche penalmente rilevanti, la previsione dello strumento del Whistleblowing, al posto della doverosa denuncia del leale servitore dello Stato: è spaventoso che si prediliga la pratica del sussurro, del mormorio, della delazione. Tacito affermava: “Corruptissima re publica plurimae leges”: temo davvero che quei tempi siano ritornati. Dopo quanto accaduto presso il Carcere di Santa Maria Capua Vetere, ed a mente di tanti diversi fatti di cronaca, riferiti ad altre realtà detentive, mi sarei aspettato ben altro, semmai l’annuncio di procedure straordinarie, anche rivoluzionarie, di assunzione, finanche cooptando, col consenso degli interessati, le professionalità più utili dagli albi professionali degli avvocati e procuratori, oppure attingendo dal personale dirigente di altri ministeri ed uffici, se non dagli ordini degli psicologi, dagli albi dei criminologi, dal mondo dei dirigenti di comunità, insomma da quei contenitori che giornalmente incrociano le carceri per ragioni del loro ufficio. Personale che non poteva essere di polizia, perché altrimenti ciò contrasterebbe con le regole penitenziarie europee, lì dove si legge che “gli istituti devono essere posti sotto la responsabilità di autorità pubbliche ed essere separati, sottolineo separati, dall’esercito, dalla polizia e dai servizi di indagine penale”.
Insomma, concrete soluzioni, anche per consentire e agevolare l’ingresso nelle nostre carceri del mondo del volontariato, delle cooperative e delle imprese produttive, di quello della scuola e dell’università, nonché della formazione professionale: oggi, per una cooperativa o un’impresa accedere in una prigione, per portare lavoro a favore di persone detenute, corrisponde all’esercizio di un percorso di guerra, quasi come se fossero sospettate di intelligenza con il nemico. Attendevo almeno la proposta di provvedimenti urgenti che modificassero l’Ordinamento penitenziario, ad esempio, in tema di telefonate con i familiari e con altre persone autorizzate, affinché non vi fosse alcun limite, fatto salvo l’onere economico in capo al detenuto, considerando la necessità dell’installazione di telefoni in ogni cella (uso questo termine genuino rispetto a quello falso ed edulcorato di “stanza di pernottamento” che l’establishment preferirebbe, dimenticando le condizioni orribili del reparto sestante del carcere delle Vallette e di tante altre realtà).
Avrei voluto sentirla dire che ad ogni detenuto aveva diritto ad un posto letto in una cella singola, ad una doccia, un lavabo ed un cesso, affinché la di lui riservatezza, il di lui non essere costretto ad una condivisione con altri detenuti, che può perfino spingere al suicidio o a subire vessazioni e violenze, sarebbe stata finalmente assicurata, pure a mente del rischio Covid-19 e di tutte le possibili sue nuove varianti; invece ho sentito una relazione d’ufficio, di maniera, che disegna futuri radiosi e progressivi, senza però disporre di alcuna tavolozza di colori, né, tantomeno, cercarla con creatività. In ultimo, risibile sentire i numeri “aggregati” dei casi seguiti, riferiti al Dipartimento della giustizia minorile e di comunità, inducendo a ritenere che rappresentassero davvero una soluzione alternativa rispetto alla pena della detenzione, senza precisare che, ragionando al contrario, il nostro ordinamento conoscerebbe la sola, dispendiosa ed inefficace, risposta carceraria per la risoluzione di ogni problematica sociale e di disagio, trasformando per davvero il Bel Paese in un hub carcerario: davvero una tristezza.
(*) Presidente onorario del Cesp – Centro europeo di studi penitenziari
Componente dell’Osservatorio regionale antimafia del Friuli-Venezia Giulia
Componente del Consiglio generale del Partito radicale non violento transnazionale transpartito
Già dirigente generale dell’Amministrazione penitenziaria
Già segretario nazionale del Sindacato dei direttori penitenziari
di Enrico Sbriglia (*)