martedì 1 febbraio 2022
“Mai con la sinistra, mai con i Cinque stelle, mai con il Pd. Avanti tutta per un governo di centrodestra”. Andrea Delmastro Delle Vedove usa parole “definitive” sul bipolarismo e rilancia la battaglia per il presidenzialismo. Dopo la rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, il deputato 46enne di Fratelli d’Italia, originario di Gattinara (Vercelli), eletto nel Collegio di Biella, parla della ricostruzione di un centrodestra guidato da Giorgia Meloni. Delmastro, noto per il suo “istinto thatcheriano”, è capogruppo di Fdi in Commissione Esteri, responsabile degli affari Esteri del partito e presidente della Giunta per le Autorizzazioni a procedere di Montecitorio.
Onorevole, in che modo Giorgia Meloni progetta di ricostruire un centrodestra che definisce “polverizzato”?
Il centrodestra è tutt’altro che polverizzato, fuori dal Palazzo. E dal Paese reale emerge amarezza e rabbia per quello che è accaduto in occasione dell’elezione del presidente della Repubblica. Chi ha ereditato i consensi della maggioranza del Paese non voleva cedere all’idea secondo cui la destra non può presentare il proprio candidato. Perché c’è chi sostiene che la destra sia condannata a essere definita “impresentabile”. Noi ci rivolgiamo a un centrodestra vasto perché rappresentiamo chi non si è inginocchiato alla narrazione corrente. Così, ripartiamo da una delle battaglie storiche che caratterizzano la destra e, più in generale, il centrodestra: vale a dire, il presidenzialismo. Per approdare, finalmente, a una matura democrazia del bipolarismo, dell’alternanza. Dall’altra parte, invece, c’è la strisciante idea neocentrista, che sposta le lancette della storia italiana indietro, agli anni bui. Quando a intere generazioni come la mia veniva scaricata addosso una montagna di debito pubblico, per una spesa sociale insostenibile. La mia generazione si è seduta al tavolo, non ha fatto in tempo a ordinare, e gli è stato chiesto di saldare il conto. È grazie all’enorme debito pubblico che abbiamo intere generazioni di giovani che vanno a Londra a fare i lavapiatti. Perché qui in Italia il loro futuro è precluso. E la colpa di questo conto è ascrivibile alle pattuglie centriste e trasformiste che credono nello schema di gioco proporzionale. Per scongiurare un nuovo disastroso “ottovolante” vogliamo condurre la nostra battaglia per il presidenzialismo. A questo proposito, abbiamo già depositato un nostro testo (sia alla Camera che al Senato) e daremo il via a una raccolta di firme.
È possibile aprire il dibattito sul presidenzialismo già in questa legislatura oppure è improbabile visto l’esito dell’elezione del presidente?
Purtroppo credo che in questa legislatura sia improbabile inaugurare una discussione seria sul tema. Ma la mossa falsa dei neocentristi potrebbe portare a discutere a una riforma della legge elettorale in senso proporzionale. Credo che a quel punto, si compatterebbe uno schieramento contro il proporzionale e favorevole al presidenzialismo. Un fatto è certo: noi chiederemo al più presto la calendarizzazione della legge di rango costituzionale. Il ritorno al proporzionale sarebbe una forzatura. E chi crede nel bipolarismo deve opporsi. La verità è che abbiamo vissuto un bipolarismo un po’ zoppo. Il motivo? Mancava la riforma presidenziale.
Quando parla di presidenzialismo si riferisce a quello classico di stampo statunitense o al modello di semipresidenzialismo alla francese?
Noi crediamo, innanzitutto, in un bipolarismo maturo. Dopodiché, noi privilegiamo il modello americano. Ma va bene anche il modello francese. Noi dobbiamo avanzare su quel versante. Naturalmente la politica è fatta di mediazioni.
Per il centrodestra, le ipotesi in campo sono due: la coalizione di forze moderate e il Partito repubblicano lanciato oggi da Matteo Salvini in una lettera al Giornale.
Sì, ho letto la posizione di Salvini. Spero che sappia che non c’è spazio, in un Partito repubblicano, per tentazioni neocentriste. Perché, se è vero che nel Partito repubblicano americano trovano dignità le posizioni centriste, è altrettanto vero che si trovano all’interno di un asse bipolare. O di qua o di là.
Cosa è andato storto nella partita dell’elezione del capo dello Stato?
Il centrodestra non ha voluto giocare la partita. Noi avevamo una rosa di nomi che non è mai approdata la voto in Aula. Primo tema anomalo. Quando decidiamo di puntare sulla Elisabetta Casellati, incredibilmente, proprio il suo partito (Forza Italia, ndr) non garantisce i numeri. A quel punto, noi puntiamo su Guido Crosetto come candidato di bandiera. Abbiamo dimostrato che andando in Aula si possono raddoppiare i voti dei grandi elettori. Dopo il passo falso sulla Casellati, leggendo le agenzie scopriamo che Salvini decide di appoggiare la candidatura di Mattarella. Lei capisce che, a quel punto, tutto è andato male. Questo racconto è la dimostrazione di come il centrodestra non abbia mai e poi mai voluto giocare la partita. Perché anche sulla Casellati, se non ci fossero stati i franchi tiratori, cosa avrebbe fatto la sinistra? Sarebbe rimasta fuori tutta la vita? Purtroppo non siamo mai stati in grado di dimostrare che il centrodestra, che è coeso e compatto nel Paese reale, era anche coeso e compatto nel Paese legale, presentando una propria candidatura e votandola. E questo è drammatico. Giorgia Meloni, come sempre, con caparbietà, con grande solitudine, con testardaggine, ha tessuto pazientemente l’unità del centrodestra. Quando si decide di votare Silvio Berlusconi, noi diciamo: va bene Berlusconi. Si decide di presentare una rosa di tre nomi (Marcello Pera, Carlo Nordio e Letizia Moratti, ndr) e noi diciamo: va bene la rosa. Il candidato è la Casellati e noi diciamo: va bene la Casellati. Il problema è che difronte alla lealtà assoluta di Fratelli d’Italia c’è stato un cedimento culturale prima ancora che politico. Ma come si fa ad accettare che il centrodestra sia figlio di un Dio minore, condannato irrimediabilmente a essere “impresentabile”, a causa di una narrazione che scoperchia il razzismo intellettuale della sinistra? A fronte di una settimana così terribile, il centrodestra, invece di rivendicare con orgoglio di rappresentare la maggioranza di questo Paese è andato a inginocchiarsi di fronte al pregiudizio della sinistra. È un fatto inaccettabile culturalmente. Non c’è dubbio che molti dei problemi che abbiamo dovuto affrontare sono nati all’interno di questo governo.
Cosa rimproverate all’azione del Governo Draghi?
È un governo nato sotto un’insegna completamente sbagliata. Noi conoscevamo lo standing internazionale di Mario Draghi. Ma la riflessione legittima era: il miglior pizzaiolo di questo mondo, dovrà fare la pizza con la farina che ha a disposizione. In pratica, come si può fare discutere Salvini e Laura Boldrini di immigrazione? Oppure, come può Forza Italia intavolare una discussione sull’Ilva con il Movimento cinque stelle? Le contraddizioni di questo governo sono esplose drammaticamente sull’elezione del presidente della Repubblica.
Fratelli d’Italia non corre il rischio dell’isolamento politico?
Credo di no. Come sostiene Giorgia Meloni, alcuni partiti seguono logiche tutte interne al Palazzo. Fuori dal Palazzo si sentiranno isolati quelli che hanno fatto altre scelte. Non penso che si voglia perdere a vita. Fuori dal Palazzo noi non siamo mai stati così entusiasticamente supportati come adesso. C’è bisogno di ritornare all’Abc della politica di centrodestra. Gli italiani dicono chiaramente che se sei di centrodestra non fai un governo con la sinistra. Se sei di centrodestra non governi con il reddito di cittadinanza. Perché credi in chi crea la ricchezza, non in chi la divora. Perché credi che per distribuire la ricchezza, occorrerà interessarsi di produrla. Purtroppo questi fondamentali sono mancati in questa legislatura folle, squinternata, che ha prodotto due governi, quello gialloverde e quello giallorosso guidato dallo stesso presidente del Consiglio (Giuseppe Conte, ndr). Dopodiché, siamo arrivati a Draghi. Se noi siamo isolati nel Palazzo, qualcun altro è fratturato con i propri elettori nel Paese reale.
Lei prima accennava alla metafora della farina. Ecco, se la farina del centrodestra è questa, vale a dire, se i partiti sono questi, come si ricostruisce la coalizione?
Nel centrodestra convivono l’anima liberale, l’anima tradizionalista e identitaria e l’anima cattolica. Sono tre anime che convivono in un campo, presidiato da Giorgia Meloni, che è alternativo ai cinque stelle e al Pd. Quelle tre anime sono riapparse a Piazza San Giovanni. I giornali allora titolarono: Il centrodestra è risorto (a Roma, il 19 ottobre 2019, ndr). Grazie, soprattutto, a Giorgia Meloni, aggiungo io. Che, caparbiamente e solitariamente, presidiava l’area del centrodestra. Quel giorno Giorgia ha parlato di famiglie, contrattualizzazione, Partite Iva, difesa della produzione nazionale. Quell’area continuiamo a presidiarla noi. Per queste ragioni, se gli altri partiti del centrodestra non vogliono disperdere il consenso e i valori devono, come il figliol prodigo, “tornare nella casa del padre”. Sono convinto che sarà questa la rivoluzione del centrodestra: un ritorno alle origini. Perché l’elettore del centrodestra è indisponibile a qualsivoglia altra alleanza che non sia quella naturale. L’elettore del centrodestra ha compreso che c’è solo una narrazione possibile ed è quella rappresentata da Giorgia Meloni: Mai con la sinistra, mai con i cinque stelle, mai con il Pd. Avanti tutta per un governo di centrodestra.
di Andrea Di Falco