L’astro nascente del centrodestra?

lunedì 29 novembre 2021


Il governatore del Friuli-Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, è al centro delle cronache politiche di questi giorni. Ciò è dovuto principalmente al suo essere, da sempre, un convinto sostenitore della campagna di vaccinazione e, di conseguenza, un acceso detrattore dei gruppi No vax. Il che fa ancora più notizia, in un momento come quello attuale, in cui il Governo ha introdotto il cosiddetto “Super Green pass”, la certificazione vaccinale potenziata, che si potrà ottenere solo se vaccinati o guariti dal Covid, e ridotto la validità dei tamponi. In sostanza, coloro che non avranno provveduto a immunizzarsi saranno esclusi dalla maggior parte delle attività ricreative: senza “Super Green pass”, anche in zona bianca, non sarà possibile accedere a ristoranti, bar, teatri, congressi, strutture ricettive, piscine, palestre, sale da ballo e simili. Col “Green Pass” ordinario, d’ora in poi, sarà possibile unicamente recarsi a lavoro, al supermercato, dal medico o in farmacia.

Se in un primo momento la Lega, per bocca del leader, Matteo Salvini, si era detta contraria e pronta a votare pollice verso al provvedimento in questione, arrivando addirittura a minacciare di disertare il Consiglio dei ministri, quasi subito sono arrivati gli inviti alla calma e alla moderazione da parte di Giancarlo Giorgetti, seguiti dal plauso da parte dei governatori leghisti, che si sono immediatamente schierati a favore del provvedimento, primo fra tutti Massimiliano Fedriga. Quest’ultimo pare sia pronto ad avvalersi della discrezionalità lasciata alle Regioni per estendere e rafforzare ulteriormente le misure previste dal decreto e per anticiparne l’entrata in vigore, invece di aspettare il 6 dicembre.

Vuoi che la Regione da lui amministrata tornerà in zona gialla in seguito all’esponenziale aumento dei contagi, che si tratti di un segnale da mandare ai gruppi “No-vax”, la cui protesta è partita e ha avuto il suo epicentro proprio in Friuli-Venezia Giulia, a Trieste, o che sia solo di un tentativo, da parte di Fedriga, di accreditarsi come qualcosa di più di un semplice presidente di Regione, sta di fatto che secondo la maggior parte delle indiscrezioni dietro l’improvviso ripensamento della Lega ci sarebbe la sua influenza. In altre parole, Fedriga avrebbe guidato la svolta “Sì-vax” del Carroccio e messo con le spalle al muro Salvini e la sua linea.

Basta con le idiozie, il vaccino c’è, funziona e ha pochissime controindicazioni, tuona il governatore del Friuli-Venezia Giulia, che da lungo tempo sostiene come non si possa tornare alla situazione di mesi fa e continuare a danneggiare la salute e l’economia del territorio, appellandosi alle persone di buon senso, affinché non si vanifichino i sacrifici fatti finora. La nostra – dice Fedriga – è una battaglia a favore del vaccino: una battaglia di libertà. Certo che lo è: libertà dalla malattia, anzitutto; ma anche libertà dalle restrizioni che un nuovo aumento dei contagi determinerebbe; libertà di lavorare e di avere relazioni sociali; libertà, per le persone responsabili, di non dover pagare – coi loro soldi e con le loro vite – per l’irresponsabilità di altri. In questo senso, c’è già chi guarda a Massimiliano Fedriga come l’astro nascente della Lega e dell’intero centrodestra. L’Arciduca – così chiamano il governatore del Friuli Venezia-Giulia – è, tutto sommato, un leghista “all’antica”. Nemico giurato di Claudio Borghi e dei “casinari” del partito. Secondo alcuni potrebbe avere lo stesso consenso di Salvini, ma con uno stile e un modo di fare politica completamente diversi dal Capitano, caratterizzato da meno slogan e più lavoro; meno battaglie ideologiche e più concretezza. Sebbene non abbia mai parlato male del segretario e non gli abbia mai fatto mancare il suo sostegno sulle cose veramente importanti, non ha mai appoggiato la vicinanza al mondo No vax. Anzi, è stato tra i primi – assieme al governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini – a ipotizzare la necessità di introdurre un trattamento differenziato tra vaccinati e non vaccinati, sul modello austriaco. Ma a Fedriga poco importa degli elogi e delle prospettive sul suo futuro: non ho tempo da perdere – dice – mi basta fare quello che è giusto e necessario per i cittadini. Spirito e dichiarazioni da vero statista, verrebbe da dire.

Fedriga ha capito benissimo che alla Lega non conviene accreditarsi – almeno nell’immaginario collettivo – come il partito dei No vax e di ogni sorta di minoranza chiassosa e “scapigliata”. Al contrario, nel medio-lungo periodo la linea che paga è sempre quella della responsabilità e della sobrietà istituzionale. La Lega di cui c’è bisogno non è quella che sposa battaglie ideologiche e fondamentalmente senza senso: quella contro vaccini e Green pass è solo l’ultima di una lunga serie, se si guarda al passato recente. La Lega che convince e che stabilizza il suo consenso è quella che difende gli interessi del mondo produttivo, della piccola-media borghesia operosa, di chi lavora felice di farlo. Questo mondo – come dimostrano le reazioni seccate dei commercianti milanesi, torinesi e triestini nei riguardi delle continue manifestazioni contro il Green pass – è specularmente opposto alla galassia radicale entro cui si inseriscono a pieno titolo anche i No vax.

Pazienza se i profili social di Salvini – che nel frattempo, come nel suo stile, ha operato una delle sue tante giravolte, cominciando a sostenere entusiasticamente quello che fino a poco tempo fa disprezzava, vale a dire le restrizioni per i non vaccinati – sono pieni di messaggi di militanti No vax, che lo accusano di tradimento o di essersi “abbassato le braghe” davanti al potere. Pazienza se lo stesso Fedriga – come molti altri prima di lui – hanno ricevuto minacce di morte. Se non altro, questo ci aiuta a capire di che tipo di persone stiamo parlando e quanto sia poco saggio – anche solo politicamente – avere a che fare con esse o dar loro peso.

Personalmente, credo che Massimiliano Fedriga – e altri come lui – rappresentino un nuovo modo di stare a destra, profondamente diverso da tutto quello che questo ha significato negli ultimi anni in Italia e più vicino, invece, a un modello europeo e occidentale: la destra responsabile, concreta, borghese e conservatrice (non nel senso di reazionaria o retrograda, ma di scettica verso le intemperanze ideologiche e le visioni utopiche). È notevole che a guidare l’apparente “conversione” della Lega alla necessità dell’immunizzazione collettiva, come unica strada credibile per uscire da quest’incubo e tornare a vivere, a lavorare e ad avere relazioni sociali decenti, siano stati proprio i presidenti di Regione. I governanti locali – a differenza dei “politici romani”, come li avrebbe definiti Umberto Bossi, i quali troppo spesso credono che fare politica sia una questione di appartenenze ideali e di “professioni di fede”, e che per questo sono lontani dalla concretezza che si richiede ai politici del territorio – hanno delle autentiche responsabilità che gravano sulle loro spalle: nel caso dei governatori, hanno il dovere di impedire che le terapie intensive tornino a intasarsi; che il contagio torni a diffondersi troppo velocemente e che si torni alle chiusure che tanto male hanno fatto e potrebbero fare all’economia, oltre che alla psiche delle persone.

Mentre a Roma ci si perde a discettare dei massimi sistemi, a Trieste, a Milano, a Torino o a Venezia si cerca un modo per evitare di mandare in fumo i progressi fatti fin qui e per impedire che la situazione torni a degenerare: specialmente per colpa di gruppuscoli ideologizzati che non distinguono la realtà della scienza dalle fantasie dei social. Probabilmente, se la Lega fosse rimasta federalista e avesse custodito la tradizione bossiana – adattandola, ovviamente, alle mutate circostanze – fatta di concretezza tutta nordica e di “sano populismo” (quello che quasi sempre corrisponde al comune buonsenso, che non si perde nelle fisime complottiste, che crede sinceramente a quella che Edmund Burke avrebbe definito la “saggezza della specie”) avrebbe capito molto prima che l’unica strada percorribile era quella indicata sin da subito dai governatori, e non quella erroneamente battuta dal leader, e avrebbe preferito ascoltare le richieste provenienti dai territori, piuttosto che assecondare i fuochi di paglia.


di Gabriele Minotti