venerdì 5 novembre 2021
Davvero il mondo è dei gretini? Dietro il fenomeno globale denominato “Greta” (Thunberg) come si stanno muovendo i suoi burattinai planetari? E perché la svedese è, di fatto, un instrumentum regni della solita finanza mondiale faceless, senza volto cioè, ma che condiziona ed esercita il potere sostanziale sulla politica e sui governi dei Paesi progrediti di tutto il mondo, per non parlare di quelli meno sviluppati? La chiave del mistero (e dei grandi Poteri Forti che hanno ispirato, sostenuto e finanziato i Greta-boys) sta tutta in una cifra, citata da Draghi nella conferenza stampa di chiusura del G20 di Roma: 120/150 triliardi (un triliardo = mille miliardi) di dollari da investire nei prossimi due decenni, in vista delle ristrutturazioni industriali necessarie, in tutto il Primo e Secondo Mondo, per riconvertire in versione green le attuali produzioni onnivore di energia e fortemente inquinanti. Queste ultime, com’è ormai ben noto, sono infatti ritenute le uniche responsabili (unitamente ai processi di deforestazione selvaggia!) dell’innalzamento, avvenuto nel corso di un solo secolo (!), di ben tre gradi della temperatura media della Terra. Ed è proprio questo surriscaldamento, con il suo bel corredo di cataclismi climatici che tutti i viventi hanno avuto già modo di sperimentare e subire, a provocare danni incalcolabili, presenti, passati e futuri, di molto superiori ai previsti tetti di spesa green citati da Draghi, che invita a mettere a fattor comune risorse pubbliche e private.
A pensar male, i trilioni di dollari destinati in futuro a sostenere l’economia verde dei Paesi in via di sviluppo andranno con certezza nelle tasche capienti delle nazioni del Primo mondo (Usa, Ue, Cina, Russia), le sole in grado di mettere in campo competenze tecnologiche e processi di produzione avanzati, sviluppati ad hoc dalle loro imprese multinazionali. Ora, parlando sul piano politico in generale: ma come è possibile registrare in merito ai principi e agli stakes dell’economia green l’assenza di un vero e proprio progetto politico del campo conservatore (illuminato certamente, e non fazioso e demagogico), che offra risposte credibili a questo problema epocale, in cui è in gioco la sopravvivenza stessa dell’umanità? Come mai sull’argomento si registra il monopolio di fatto delle sinistre e dei verdi in tutte le democrazie occidentali? Solo l’India, la più grande di queste ultime, si è chiamata fuori dal condividere nel Cop26 e nel G20 scadenze più o meno ravvicinate per realizzare il sogno comune della emissione zero di CO2, mentre Russia e Cina hanno disinvoltamente praticato in questi consessi multilateralisti (sostanzialmente inutili) la politica gaullista della “chaise vide”. Ma lì, la faccenda è spiegata con lo stigma delle Democrazie illiberali e dei totalitarismi capital-comunisti, per quanto di misterioso ci sia in una simile terminologia che rimane sostanzialmente ambigua e sulla quale bisognerà certo tornare, per definire come si rapporta anche in questo senso un sano progetto di conservatorismo illuminato.
Forse, il nuovo codice di interpretazione che manca oggi ai conservatori è il progressismo, che consente di coniugare al culto della conservazione motivata delle cose e dei valori antichi, patrimonio storico morale ed etico dell’umanità intera, un progetto sociale e illuminato di Futuro. In tal senso, una componente del conservatorismo progressista può utilmente essere specificata recuperando un modello purtroppo delegittimato, per il passato abuso demagogico che ne ha fatto il deprecato Ventennio, noto come Corporativismo. Partiamo, per svolgere il ragionamento, dall’elaborazione ideologica delle folle gretine. Qui vale la pena di ripetere il mantra di sempre: non serve chiedere al ladro di restituire la refurtiva. Potendo, lui non lo farà mai! È molto più efficace, sotto questo profilo, l’applicazione della regola della Sharia del taglio delle mani! Ma per ridurre alla ragione gli inquinatori globali, Usa, Ue, Cina, India e Russia non serve tanta ferocia. Un esempio per tutti: basta suggerire a centinaia di milioni di giovani gretini, che campano alle spalle dei loro parenti e di chi produce quei beni effimeri da loro stessi così ambiti, di ridurre almeno a metà, tout-court, l’acquisto di oggetti-cult superflui. Solo imponendo, per esempio, ai maggiori costruttori mondiali di fabbricare telefonini i cui componenti hardware siano interamente riciclabili, e che abbiamo durata di funzionamento almeno decennale (cosa possibilissima, visto che la parte del leone la fanno i software delle App e degli aggiornamenti!), si potrebbe ottenere il risultato clamoroso di ridurre del 50 per cento, in pochi anni, le emissioni nocive nelle industrie di settore!
Costringere Apple, Samsung, Huawei, a farlo è davvero semplicissimo: basta utilizzare i meccanismi spietati della concorrenza di mercato, rifiutandosi in massa di acquistare cellulari di ultima generazione, che non corrispondano ai requisiti di lunga durata e di recycling integrale richiesti dagli stessi consumatori giovani, che sono i principali acquirenti di quelle produzioni high-tech! Facile immaginare quanti milioni di tonnellate di materie prime (terre rare) si risparmierebbero, attivando nel contempo un immenso mercato parallelo di “ambulatori” tecnologici (ed ecco qui la riedizione rivista e aggiornata del principio corporativistico!) per la riparazione, il riciclo e la rigenerazione di cellulari usati, che darebbero “localmente” lavoro a milioni di giovani (favorendone gli investimenti per la creazione corporativa delle relative start-up con Fondi nazionali di sviluppo ad hoc), in sostituzione di quegli occupati maturi che resterebbero senza lavoro nel resto del mondo, a causa della drastica riduzione delle loro produzioni settoriali e degli indotti relativi.
Perché, poi, sono proprio queste ultime produzioni glocal che oggi contribuiscono a tenere lunghe (o lunghissime) le catene di valore, esponendo così tutti i Paesi consumatori-dipendenti ai ricatti planetari dei grandi produttori! Il suddetto modello alternativo “corporativista”, infatti, rappresenterebbe un modo estremamente efficace per realizzare il sogno delle filiere ultracorte! Invece dei proclami vuoti e retorici, così come espressi nei vari consessi tipo G20, Cop26, perché i conservatori illuminati non fanno loro da controcanto diffondendo nei loro interventi sui media e nei social le suddette, semplicissime verità lapalissiane? Nello specifico: è solo riducendo volontariamente, come atto autonomo di noi consumatori, l’acquisto di beni superflui e griffati che si provoca quella sana torsione green, tale da costringere i produttori a cambiare le loro linee di indirizzo, riportando in patria corporativamente molti dei posti di lavoro perduti con le delocalizzazioni. Non varrebbe la pena di pensarci su?
di Maurizio Guaitoli