sabato 25 settembre 2021
Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha firmato il Decreto che fa cessare il lavoro agile come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nella Pubblica amministrazione. I plausi da parte del ministro Renato Brunetta e i silenzi da parte del mondo politico, che sul tema non ha speso una parola, ci fanno comprendere quanto la portata di questo argomento non sia stata ben capita dalle cosiddette parti sociali troppo impegnate a polemizzare sulla fuffa. Qui si parla di futuro e di presente allo stesso tempo ma la politica non comprende, isolata com’è nella propria torre d’avorio. Se solo la politica capisse quanti milioni di italiani sono impattati da questo provvedimento, forse cesserebbe di parlare di Green pass e di Ddl Zan per mettere mano allo Smart working, che è l’unica vera riforma del lavoro negli ultimi quarant’anni.
Dal punto di vista prettamente sociale, conciliare la vita privata con il lavoro non può essere un tema buono per le campagne elettorali: o si hanno a cuore sempre le esigenze delle famiglie che devono conciliare la vita privata con il lavoro (cosa che dovrebbe essere fondante per chi fa politica) oppure si assume un comportamento da padroncino della fabbrichetta in Brianza incitando i “fannulloni a tornare al chiodo”. Questo è quello che con malcelato garbo cerca di fare il ministro Brunetta: da un lato parla di gentilezza, di cortesia, di capitale umano da valorizzare, di giovani e dall’altro si atteggia a “falco” imponendo il rastrellamento di tutti i dipendenti in Smart working ingenerando nei cittadini – con il suo fare categorico – il sospetto che si tratti di fannulloni da rimettere in gabbia. Senza voler prendere le parti di nessuno, che i dipendenti della Pa siano dei fannulloni o meno, non lo sapremo certo trascinandoli in ufficio: alla Pubblica amministrazione mancano i presupposti organizzativi per misurare la performance perché non c’è un sistema del lavoro organizzato per obiettivi. Addirittura c’è un Osservatorio pubblico per lo Smart working nella Pubblica Amministrazione che in questi mesi non ha funzionato, nonostante questa fosse una occasione irripetibile per studiare il fenomeno.
Gli studi del Politecnico di Milano dimostrano invece che la produttività con il lavoro agile è aumentata del 15 per cento nel privato. Mettendo a sistema questi due dati (il mancato funzionamento dell’Osservatorio pubblico e i dati del Politecnico di Milano) non si capisce bene su cosa si sia basato il ministro della Pubblica amministrazione per assumere una posizione così categorica sull’argomento: ci viene da pensare a questo punto che si tratti di un fatto puramente ideologico, puramente generazionale. Il ministro predica un ritorno alla normalità ma chiama normalità un mondo (quello pre-pandemia) che non esiste più tranne che nella testa di un signore (Draghi, Brunetta e soci sono tutti settantenni) che per troppi anni si è svegliato la mattina intendendo per attività lavorativa una roba da svolgere rigorosamente in presenza.
Peccato che il futuro sia già adesso e che non comprenderlo ostinandosi a volerlo fermare sia un modo poco “open” di concepire la propria attività politica (la quale dovrebbe essere open per definizione). E che sia un fatto ideologico lo si comprende anche dalla scarsa coerenza con l’impostazione complessiva del Governo: abbiamo fatto il Governo dei migliori, della resilienza, della transizione ecologica, dell’attenzione al green, ai cambiamenti climatici e poi pensiamo che sia normale prendere le megalopoli, riempirle di persone e costringerle tutti i giorni a muoversi a milioni sprecando energia e inquinando per fare una attività che si potrebbe fare tranquillamente da casa in maniera molto più green (ovviamente non per la totalità dei lavoratori, specie quelli che sono a diretto contatto con il pubblico). D’altronde, se molte multinazionali hanno istituito lo Smart working come metodo principale di lavoro relegando il lavoro in presenza come fatto residuale, un motivo ci sarà.
Un ritorno al passato, proprio adesso che qualcuno aveva – ad esempio- cominciato a parlare di “South working” ovvero ripopolamento di tutti quei borghi disabitati del sud Italia (e non solo) usando il lavoro agile. Una spinta propulsiva sprecata nel nome di niente. Se non si ha questa visione prospettica limitandosi al compitino mediocre e ideologico basato sul “così si è sempre fatto” o sul “crepino i fannulloni”, allora la ragione fondante della politica perde veramente senso. E che poi si faccia finta di conservare l’istituto dello Smart working riducendolo all’osso quasi fino a farlo scomparire è davvero ipocrita, meschino, poco coraggioso, non autorevole.
È un po’ come inserire l’obbligo vaccinale mascherato da Green pass in luogo del più giusto obbligo vaccinale esplicito (ops, lo hanno fatto). A volte essere ideologicamente accecati, portare avanti la battaglia da Masaniello contro gli statali è un modo come un altro per perdere razionalità: in molti (soprattutto in campagna elettorale) parlano di una Pubblica amministrazione spendacciona, costosa, che deve iniziare a fare la cura dimagrante. Ecco perché lo Smart working sarebbe stato uno strumento formidabile per ridurre le faraoniche sedi della Pa, per risparmiare sui buoni pasto (chi non è in presenza non prende i buoni pasto e si tratta di svariati milioni di euro al mese), per risparmiare in elettricità, cancelleria, materiali di consumo, straordinari e diavolerie simili. Ma invece è in corso una battaglia contro il progresso, una restaurazione del mondo novecentesco. Il progresso però non si ferma, il progresso – se tenti di fermarlo – ti travolge prima o poi. E lo Smart working era una forma di civiltà e di progresso sociale ed economico nato per caso e sciupato per gioco. In molti – compresi coloro che sul tema non hanno proferito verbo – scopriranno alle prossime elezioni quanto questo tema stesse a cuore a molti più italiani di quanto si pensi. Adesso sta ai cittadini non votare per protesta tutti coloro che non hanno tutelato lo Smart working.
di Massimo Ascolto